di Donato Rossiello, Nico Fano
I dati macro continuano a riflettere un clima di decelerazione dell’economia. L’inflazione resta su livelli elevati, il conflitto in Ucraina prosegue, il restringimento delle condizioni finanziarie permane, così come la politica zero-Covid in Cina. Tali fattori sono però controbilanciati della resilienza di consumi e occupazione, nonché dalle politiche fiscali di supporto attuate dai Governi.
Negli Stati Uniti la crescita viaggia sotto il suo potenziale e fa capolino il rischio recessione a fronte della stretta monetaria della Federal Reserve; nonostante questo l’economia si è dimostrata in grado di ammortizzare i colpi a cui è sottoposta, grazie agli ingenti risparmi accumulati dalle famiglie durante la pandemia a sostenere la capacità di spesa. La domanda di lavoratori è elevata (sebbene in leggera diminuzione) e la produzione cresce. Ne consegue un PIL nel 3° trimestre a +2,6% annualizzato, in recupero rispetto ai negativi due trimestri precedenti. Per quanto riguarda gli utili societari la reporting season è apparsa meglio delle attese. La maggior parte delle aziende ha infatti riportato dei risultati superiori alle aspettative, con una crescita media non eccellente ma comunque positiva (+3,4%).
Progressi ancora limitati in termini di inflazione. Calo marginale da 8,3% a 8,2%. A farla breve, si muovono lenti passi nella direzione auspicata dalla Fed: gli aumenti dei tassi stanno raffreddando l’economia (soprattutto in alcuni settori sensibili, anzitutto l’immobiliare), di conseguenza si riduce gradualmente il gap tra domanda e offerta di lavoro, che a sua volta dovrebbe tradursi in una decelerazione dei salari e prezzi in generale. E come previsto, nell’ultima riunione del 2 novembre è stato determinato un ulteriore rialzo dei tassi sui fed funds di 75 punti base. I mercati pronosticano un picco dei tassi intorno al 5% nel primo semestre del 2023, seguito poi da alcuni mesi di stabilità. In definitiva, è ancora troppo presto per parlare di tagli.
In Europa permane l’annosa questione dei costi energetici a frenare i consumi delle famiglie e limitare le scelte di produzione/investimento delle imprese. Gli indici PMI di ottobre segnano una discesa in territorio di moderata contrazione – più accentuata nel comparto manifatturiero, soprattutto in Germania. Sorprende in positivo la tenuta del PIL nell’Eurozona, con +0,2% nel terzo trimestre. L’Italia si è distinta con una crescita dello 0,5% rispetto allo 0% supposto.
Ad ogni modo le stime parlano di recessione europea per i prossimi due mesi. Gli effetti saranno comunque di lieve entità in quanto la situazione economica di partenza è piuttosto solida (vedasi il vivace mercato del lavoro e un’occupazione record nel secondo trimestre del 2022), il prezzo del gas è sceso a circa 100 euro/MWh e i supporti fiscali posti in essere riducono [ridurranno] l’impatto della crisi.
Nel frattempo l’inflazione del Vecchio Continente sale al 10,7%.
Lo scenario economico dovrebbe rimanere debole nei prossimi mesi. Le Banche Centrali non sembrano dar cenni di un cambio rotta decisivo delle politiche monetarie. Si attende con trepidazione il cosiddetto “pivot”…