La strana storia della sede del Partito Democratico. Perché strana è. Molti avranno letto nei giorni scorsi che dopo nove lunghi anni di annunci, proclami e “minacce” di sfratto, l’attuale sede del Pd al civico 23 di Corso Vittorio Emanuele dovrà trovare un nuovo locatario.
Tra meno di un mese, il 14 luglio prossimo, si “procederà all’esperimento dell’asta pubblica per aggiudicare la locazione dell’immobile, dinanzi alla Commissione appositamente nominata”. Alla gara – spiegano da Palazzo Gentile – potranno partecipare persone fisiche e persone giuridiche che non si trovino in situazioni che comportino la perdita o la sospensione della capacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione. L’aggiudicatario dovrà versare nelle casse comunali un canone mensile di quasi 1.200 euro al mese (significa 14.400 euro annui), che potrebbe anche essere rivisto dal secondo anno, secondo gli indici ISTAT. E lo dovrà fare per almeno sei anni, rinnovabili per un ulteriore periodo di altri sei.
E fin qui, tutto ok. Se non fosse che la decisione abbia scatenato più di qualche malumore nel partito. Si ipotizza, infatti, un cambio di destinazione d’uso da B4 (quello attuale, di uso pubblico) ad uso commerciale. “Avrei voluto che diventasse un polo giovanile o, addirittura, un presidio fisso della Polizia Municipale – scrive su Facebook la consigliera Pd Antonella Vaccaro -. O ancora, un piccolo municipio a disposizione dei comitati di quartiere (da ripristinare e riorganizzare), delle consulte e delle associazioni. Volevo che restasse un punto di riferimento per la città, il luogo della partecipazione attiva e della Politica. Un luogo di raccolta appunto. A mio modesto parere ritengo che si poteva rivedere la scelta di destinazione d’uso. Sarebbe bastato discuterne tutti insieme e invece è venuto fuori che era tutto pronto per la pubblicazione. Senza che nessuno fosse a conoscenza del lavoro dell’ufficio. La mia non è affatto rassegnazione”.
Ma al commento ha subito risposto l’assessore al Patrimonio, Marina Salierno, proprio in quota al Pd: “Vorrei precisare per l’ennesima volta che i consiglieri erano informati di tutto anche dell’avviso poiché abbiamo fatto un incontro. Incontro al quale ho invitato anche te (Antonella Vaccaro, ndr) sia il 4 sia il 5 giugno. Inoltre vi sfugge un passaggio: al bene non è stata assegnata una destinazione commerciale bensì l’avviso prevede la presentazione di progetti a seconda dei quali l’eventuale conduttore assegnerà la destinazione. Sono sicura che nessuno si nasconda dietro il lavoro dell’ufficio in quanto io in primis vi ho sempre informato di tutto. Chiaro è che la questione si protrae dal 2016-2017 e di certo a me come tanti non fa piacere questa spiacevole situazione ma la legge va rispettata”.
Non è dello stesso parere un altro tesserato che, invece, sembra smentire le frasi dell’assessore: “Dopo aver sollecitato l’assessore ad incontrare il sindaco, la stessa riportava il diniego del sindaco stesso in quanto la procedura risultava già in corso, ma l’assessore non ne conosceva i tempi, salvo scoprire dopo due giorni che è pronto, perché?”
E poi ancora: “L’obiettivo viene raggiunto con procedimenti poco chiari, innanzitutto l’emanazione dell’incarico di perizia incaricata dall’ufficio patrimonio senza passare dall’ufficio tecnico, manca un qualsivoglia parere in merito alla valutazione dall’unico ufficio che ne avrebbe competenza, perché? Perché non ha interrotto la procedura tra la prima e seconda asta? E perché il canone rimane uguale?”.
Il Comune, infatti, sembra abbia fatto fare una valutazione da un’agenzia immobiliare bitontina – senza tener conto di un’altra valutazione fatta fare da una Società Cooperativa barese già alcuni mesi fa (che sembra essere sparita dalla perizia) – senza passare dall’ufficio tecnico di competenza.
Insomma troppe domande che sembrano essere state lanciate in un pozzo profondo e buio e a cui si spera qualcuno dia risposta.