C’è chi l’ha definita una “porcata, un
obbrobrio, un pastrocchio”, una riforma che non dà lavoro e soldi ai cittadini,
e che anzi va nell’esatto contrario, una violenza alla democrazia, un costo
aggiuntivo per le casse non certo floride dello Stato.
Per lo più
incostituzionale, e per questo c’è il ricorso di Puglia, Veneto, Lazio,
Lombardia e Liguria. La Legge Delrio però c’è e dal 1° Gennaio ci consegnerà il
bel regalo della Città metropolitana di Bari. Che all’ombra dell’olivo nessuno
vuole o, peggio ancora, nessuno conosce, presi dalle difficoltà di arrivare
alla fine del mese.
E sabato, nel convegno ad hoc organizzato
dalla Consulta del Volontariato – che ha visto la sala consiliare di Palazzo Gentile popolata da tanti ragazzi e da un uditorio davvero qualificato – è arrivato un altro “no” convinto al nascente
che spazzerà via la Provincia, anche se non si sa ancora come e, quel che
peggio, come sarà.
La Legge Delrio, allora. La madre di tutti
i guai. Si chiama “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle
unioni e fusioni di comuni”, ed è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 7 aprile scorso.
In principio, ci dice che la città metropolitana è «ente territoriale di
area vasta con le seguenti finalità
istituzionali generali: cura dello sviluppo strategico del territorio
metropolitano; promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della città
metropolitana; cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio
livello, ivi comprese quelle con le città e le aree metropolitane europee. Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia
omonima, ferma restando l’iniziativa dei comuni, ivi compresi i Comuni capoluogo delle province limitrofe, per la modifica delle circoscrizioni
provinciali limitrofe e per
l’adesione alla città metropolitana».
Poi sancisce anche altro, come per esempio
che le 86 Province rimanenti saranno diventeranno “Enti di area vasta, con limitate
funzioni fondamentali proprie legate alla programmazione e pianificazione in
materia di ambiente, trasporto, rete scolastica, alla elaborazione dati,
all’assistenza tecnico amministrativa per gli enti locali, alla gestione
dell’edilizia scolastica, al controllo dei fenomeni discriminatori in ambito
occupazionale e alla promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale”.
E il suo presidente «sarà
un sindaco eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali e durerà in carica
quattro anni», e opererà senza giunta, che viene abolita.
Michele Marannino, docente di Diritto, ne dà un giudizio senza appello. «E’ una legge che prende i cittadini
per i fondelli e che uccide la democrazia del basso».
Oltre alla legge, c’è soprattutto la questione Bari. Può
davvero essere Città metropolitana come Napoli, Milano, Bologna, Firenze,
Genova? Può essere area metropolitana una zona popolata da solo 1 milione e 500
mila persone circa?
Una città il cui territorio è più piccolo di quello di
Bitonto? Una città di 360 mila abitanti che nulla a che fare con Bitonto,
Monopoli, Corato e compagnia bella? E soprattutto, come sarà la Città
metropolitana di Bari? «Bari non ha mai avuto e mai avrà capacità gestionali», rincara la dose Marannino.
Il sogno e il progetto di Bari, però, cominciano già 24 anni
fa. E lo ricorda Mimmo Rubino, funzionario di Banca. «Si inizia a parlare di
Città metropolitana già nel 1990, quando con la legge 142 ne venivano istituite
soltanto 4, ed è una legge che va nell’ottica dell’aggregazione di Comuni
e di affidare a enti sovracomunali la
gestione dei servizi pubblici ed essenziali dei cittadini. Poi, però, per
volontà dell’onorevole del Partito comunista Barbera, alle legge fu inserito un
emendamento che inseriva Bari tra le città metropolitane. L’Italia ha previsto
ben 14 città metropolitane, molto più rispetto al resto d’Europa. I finanziamenti
comunitari? Saranno un miraggio, perché le spese saranno soltanto a carico
dello Stato». Come conferma anche un recente studio di Asmel, che certifica
un danno erariale di 18 miliardi di euro per le casse dello Stato.
Dal 1990, allora, inizia un doppio percorso per Bitonto.
Da un lato la città si attiva con più aggregazioni di Comuni, alcune andate in
porto (Patto territoriale della Conca barese, Pit 2) altre fallite
(pianificazione strategica, con la Regione che non avrebbe mai versato 700 mila
euro promessi a riguardo). Dall’altro, un incredibile depauperamento che
provoca una vera e propria spogliazione: Diocesi, uffici dell’Enel, dell’Aqp,
ospedale, tribunale.
Anche Francesco Cariello, deputato cinquestelle, affossa
il disegno di legge, «La legge Delrio introduce le città metropolitane il cui territorio coincide con quello delle omonime province, ma il testo stesso della legge rimanda ad una futura modifica del titolo V della Costituzione. Come ben sapete il processo di modifica del titolo V della Costituzione è solo all’inizio e non ha la certezza che sia completato. Quindi attualmente la Costituzione contempla ancora le Province tra gli enti territoriali in vigore»..
Peccato, però, che non sia così, perché
l’articolo 114 della Carta fondamentale parla esplicitamente di città
metropolitane.
«La Città metropolitana è soltanto uno specchietto
per le allodole – rincara la dose Francesco Ventola, presidente della Bat – che
se sarà identica alla Provincia sarà un obbrobrio. Come farà Decaro a essere
sindaco di 41 Comuni? Cederà sovranità?».
Un attacco convinto al nuovo ente arriva anche dalcapogruppo comunale di Forza Italia Domenico Damascelli, che lo vede come «una
violenza e una violazione delle identità dei territori. Io mi sono battuto
anche nel mio partito contro questa legge che è una presa in giro per i
cittadini. E’ ovvio che se Bari dovesse avere finanziamenti, è difficile che li
girerà agli altri ma se li terrà per sé. Bisogna assolutamente evitare lo
strapotere di Bari e perciò il sindaco o deve cercare di agire sullo statuto
oppure cercando accordo con altre realtà territoriali».
L’ex sindaco Nicola Pice, invece, guarda in faccia la
realtà e invita ad affrontare di petto la situazione, cercando di far entrare a
Bitonto nel migliore dei modi nella Città metropolitana.
Ma c’è chi la Città metropolitana è riuscita a gestirla
nel migliore dei modi. Con la collaborazione attiva e concreta dei cittadini.
Si tratta di Bologna, dove – afferma Francesco Massarenti, consigliere del
quartiere Saragozza – lo statuto è stato scritto con il 75% di contributo delle
associazioni territoriali e civiche, e il 25% della parte politica.
Uno schiaffo in faccia che non merita commento.