A 77 anni, è scomparsa ieri Maria Fida Moro, a causa di complicazioni di patologie di cui soffriva da tempo. Era la primogenita tra i quattro figli di Aldo Moro e, alla ricerca della verità sulla morte del padre, ha dedicato tutta la sua vita. Fu anche senatrice, eletta nelle fila della Democrazia cristiana nel 1987, nel collegio di Bitonto.
«Alla gente di Puglia. La speranza è frutto della solidarietà fra gli uomini. Io vorrei che, insieme, diventassimo ispiratori di speranza, per inventarci, nel ricordo di coloro che ci hanno preceduti un destino più umano, più amichevole e lieto per coloro che ci seguiranno. Il mondo migliorerà nell’esatta misura in cui ognuno avrà reso migliore sé stesso. Al fondamento della libertà, della giustizia e della democrazia non può essere posta che la legge soprannaturale dell’amore» fu il pensiero che, durante la campagna elettorale che precedette l’elezione, riportò la pagina promozionale sul Da Bitonto. Un pensiero che ben rifletteva l’Italia di quel momento, che solo da pochi anni si era lasciata alle spalle l’incubo del terrorismo politico, e la sua storia personale, segnata irrimediabilmente dall’omicidio del padre da parte delle Brigate Rosse.
Il 1987 era l’anno in cui giungeva al termine la prima legislatura a guida socialista, iniziata quattro anni prima con Bettino Craxi a capo dell’esecutivo. A porvi fine fu lo stesso Craxi, nel corso di un confronto televisivo con il giornalista Giovanni Minoli, nella trasmissione Mixer del 17 febbraio. Il presidente socialista sconfessò pubblicamente il cosiddetto “patto della staffetta”, accordo che prevedeva il passaggio, a metà legislatura, della Presidenza del Consiglio dei Ministri ai democristiani. Il Psi, dunque, non concesse la fiducia al successivo governo Fanfani, che si dimise dopo pochissimi giorni dall’insediamento, portando allo scioglimento anticipato delle camere e, quindi, a nuove elezioni che si tennero domenica 14 e lunedì 15 giugno 1987.
Le elezioni furono vinte dalla Democrazia Cristiana guidata da Ciriaco De Mita e portarono ad una legislatura dalla maggioranza determinata dal Pentapartito e a governi che, nonostante molti cambi al vertice del potere esecutivo, saranno sempre in mano democristiana. Fino all’88 sarà, infatti Giovanni Goria il Primo Ministro, per poi, a seguito di forti critiche mosse dal Psi, sarà sostituito da Ciriaco De Mita, che rimase in carica fino all’anno successivo, quando si dimise sempre a seguito di dissidi tra i socialisti e gli altri membri del Pentapartito. Ritornò, quindi, al vertice del governo, Giulio Andreotti, restando in carica fino alle dimissioni del 1991, dettate, ancora una volta, da una richiesta di crisi avanzata dal Psi. Fu riconfermato da una maggioranza che, nel frattempo, aveva perso il Pri e restò in carica fino alle dimissioni del 1992, anno delle nuove elezioni politiche. Fu il settimo ed ultimo governo Andreotti.
Ad annunciare l’elezione di Maria Fida Moro, sulla stampa locale, fu il fondatore del Da Bitonto, Franco Amendolagine, comunicando l’avvio di «una storia in comune tra la nostra città e questa donna, come già in passato vi fu una lunga stagione di reciproche fedeltà tra Bitonto e suo padre».
«In lei – continua Amendolagine – si ritroveranno tutti i cittadini che, al di sopra di tutto, vorranno costruire la pace, che rimane l’unica vera strada verso una convivenza pacifica e civile tra i popoli».
Un entusiasmo che, nei mesi successivi si spense sempre più, fino ad arrivare all’estate 1988, quando, lo stesso Amendolagine spese dure parole nei suoi confronti. Era successo, infatti, che, in occasione della commemorazione dell’illustre padre, per il decimo anniversario della sua morte, l’amministrazione comunale, guidata dal socialista Michele Coletti, aveva organizzato una manifestazione. In cui, però, come scrisse sempre Amendolagine «della gente di Puglia vedemmo alcune decine di bitontini di diversa estrazione politica, dai democristiani ai comunisti, e qualche sindaco con gonfalone delle città del collegio sindacale».
«Per chi era presente, come me, fu una vera mortificazione, tanto da non avere nemmeno il coraggio di esprimere una pur minima solidarietà alla signora Eleonora (moglie dello statista di Maglie, ndr), che certamente non meritava una simile accoglienza» aggiunse il fondatore del “da Bitonto”, mentre, prendendo la parola, la senatrice Moro spese parole poco lusinghiere verso la Dc nazionale e bitontina, i cui dirigenti erano, in gran parte, assenti: «Io sono abusiva sempre, quando parlo, ma ho alcune cose da dire che mi stanno molto a cuore. Qui a Bitonto ho avuto piazza intera di gente di diversi partiti, che veniva ad ascoltare me, perché aveva amato mio padre. Quello che mi dispiace è che questo partito di cui faccio parte, del quale mi vergogno, non sia stato capace di superare il concetto, sciocco, che solo perché una manifestazione non è nata in seno alla Democrazia Cristiana, non vi si debba partecipare. Questa è una cosa che avrebbe addolorato profondamente papà e che addolora me».
Accuse dure che portano l’allora direttore del nostro giornale a prendere le difese dei bitontini e ad accusare la senatrice di essere stata assente dopo la sua elezione, recidendo quel contatto diretto a cui i bitontini erano abituati con gli eletti del proprio collegio: «Il collegio di Bitonto si vanta, tutt’oggi, di aver riportato il nome di Moro nel Parlamento italiano, a Palazzo Madama, con l’elezione di Maria Fida a senatrice della Repubblica. Allorquando da Roma arrivò la candidatura di Maria Fida, mettendo sic et simpliciter fuorigioco professionisti locali, illustri e degnissimi, di indiscussa fede democristiana, si mobilitò non solo la Democrazia Cristiana, ma scese in campo l’intera area cattolica e non. […] Maria Fida Moro, che in vero neanche in campagna elettorale aveva abbondato in apparizioni, dopo la elezione sembra sia svanita, mentre gli elettori continuano ad andare fieri di lei e ad indicarla ai propri figli solo quando appare in televisione. Un modo nuovo di avere contatto con il collegio elettorale e certamente non gradito agli elettori. Per cui potrebbe essere giustificata l’indifferenza che i cittadini hanno mostrato solo verso la sua persona quando è venuta a Bitonto, coinvolgendo, purtroppo ed ingiustamente la memoria di Aldo Moro e di donna Eleonora».
La senatrice rimase in carica fino al 1992, ma già dai primi anni di mandato ebbe un rapporto conflittuale con il suo partito, tanto che, nel 1990, passò come indipendente, nelle fila di Rifondazione Comunista, per poi approdare, dopo la fine della legislatura, nel Movimento Sociale Italiano e poi in Alleanza Nazionale, Rinnovamento Italiano – Lista Dini e nel Partito Radicale, in cui ha militato sino agli ultimi giorni.