Vi entrano
alla svelta e distrattamente, ché una visita al Tempio è doverosa prima di
assaporare la magia del presepe vivente.
Sono forestieri in cerca di bellezza e
di un tuffo, seppur momentaneo, tra le suggestioni di un passato perduto.
S’avvicinano all’altare, scarpinano curiosi, sostano per pochi istanti dinanzi
a quella “strana” natività.
Poi, chi se ne avvede, procede nella lettura di un
bigliettino affisso al muro e che dovrebbe dissipare ogni dubbio.
“È un
presepe calato nella realtà”, recita pressappoco la letterina.
E subito i
visitatori procedono nel loro viaggio natalizio, quasi senza porsi alcuna
domanda.
Ma quanti
sanno che quella natività è stata forgiata dagli adolescenti di
Mariotto, quanti pensano che sia un meraviglioso dono del cuore non possono
accontentarsi di quelle righe.
È troppo poco per diradare la foschia della
mente, troppo breve è la spiegazione per chetare chi, accovacciato nell’ombra,
se ne sta silente a fissarlo.
Che cosa
significa per noi un presepe calato nella realtà?
E cosa pensano e sognano e
vivono i ragazzi che lo hanno ideato?
Ma soprattutto, cosa hanno provato
dinanzi a quelle scene di disperazione, che hanno cercato di far rivivere a
Natale?
Sarebbe meraviglioso poterli conoscere e ringraziare per l’emozione
donataci, avendo quasi voluto suggerirci di non dimenticare.
E sarebbe ancor
più magico meditare insieme a loro che questa è la strada da seguire per un
futuro splendente.
La strada del
“sentire”.
Ma ecco che
altri visitatori si accostano all’altare.
Guardano, fugacemente, quel Gesù
bambino su un barcone alla deriva con la madre e il padre, venuto al mondo tra
la disperazione dei profughi, egli che è stato profugo.
Mentre tutt’intorno i
relitti della tragedia di Lampedusa si agitano nel mare in tempesta.
Poi passano
oltre, per un viaggio tra le luci e i colori del più affascinante presepe vivente.