In
principio c’è la convinzione: lo storico non è colui che deve
raccontare e ricostruire fatti già noti, ma andare alla ricerca di
quello che non si sa, partendo dal presupposto che non esiste un bene
assoluto e un male assoluto e che tutto, proprio tutto, vada messo in
discussione.
Poi
c’è il metodo, fondamentale per la ricerca: dinanzi a un qualcosa,
lo storico deve avere un suo punto di vista. Deve andare, quindi,
alla ricerca di quegli elementi che possano mettere in discussione la
mia convinzione iniziale. E questo non
indebolisce il concetto, anzi lo rafforza.
EPaolo Mieli, giornalista, scrittore, saggista e storico, nel suo
ultimo libro, “Interpretare il nostro tempo. L’arma della
memoria”, racconta proprio
questo.
Un
volume, in cui storia e memoria vanno davvero di pari passo. Anche
contro quei troppi ismi (negazionismo e revisionismo) che cercano di
inquinarli.
E
lui, l’attuale presidente di Rcs Libri, lo ha ricordato l’altra sera
in un teatro Traetta pieno come un uovo. Dialogando con Stefano
Costantini, caporedattore di Repubblica Bari e
il sindaco Michele Abbaticchio. Nell’evento organizzato dall’European
language school, e il più importante di “Memento”,
l’iniziativa comunale che da quattro anni mette attenzione su Shoah,
Foibe, e non solo.
“L’Olocausto
– riflette Mieli – è
stata una catastrofe, ma bisogna chiedersi noi dove eravamo mentre
succedeva tutto questo. Gli Ebrei, inoltre, sono un popolo bello da
celebrare 60-70 anni dopo che accadono le tragedie”.
Mettere
in dubbio, tutto, significa anche porsi punti interrogativi su alcune
questioni che diamo per scontate.
Il
rapporto di Vittorio Emanuele III e il fascismo, ad esempio. “Non
ebbe molte colpe per l’ascesa di Mussolini – analizza
– perché il Partito fascista ha avuto la fiducia da un
Parlamento votato nel 1921. Ha avuto invece un ruolo centrale nella
congiura e nella sfiducia ai danni del Duce, nel luglio 1943”.
Si
salta di qualche anno, e si arriva alla lotta partigiana. “In
Italia – ricorda – come
movimento unitario, è stata fatta in ritardo rispetto agli altri
Paesi, soltanto dopo l’occupazione nazista, e anche per questo motivo
non siamo stati ammessi al tavolo dei vincitori”.
Guai,
inoltre, a vedere parallelismi tra il regime mussoliniano e quello
che accade ai giorni nostri. “Un altro errore che
commettiamo – sottolinea l’ex
direttore del “Corriere della sera” – è rivedere il
ventennio fascista con quello berlusconiano. Dal 1994 al 2013, l’ex
Cavaliere ha governato soltanto 9 anni, contro gli 11 della sinistra.
E non è neanche corretto associare Matteo Renzi al Duce, e neanche
l’Italicum con la legge Acerbo. In Italia, inoltre, abbiamo sempre
l’abitudine di scaricare le colpe sugli altri. Secondo tanti,
infatti, l’origine dei nostri mali è la Germania, senza ricordare
però che in oltre 150 anni non siamo stati in grado di unire il Nord
con il Sud e abbiamo avuto una classe dirigente che ha fatto
lievitare il debito pubblico”.
Mieli,
infine, getta uno sguardo anche su tutto ciò che sta accadendo nei
Paesi arabi, sempre più in fibrillazione. “E’ fondamentale che
il potere laico abbia la meglio su quello religioso, ed è chiaro che
il mondo occidentale ha sbagliato già negli anni ’70 ad appoggiare
Al Qaeda ai tempi dell’invasione sovietica in Afghanistan”.
E l’Unione europea? “Se dovesse
essere abolita Schengen – arringa – scomparirebbe, e chi
uscirebbe avrebbe una felicità agreste e poco duratura”.
Tutto va messo in discussione,
allora. Perché il dubbio è il sale della storia.