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Home » Intervista ad Alessandro Piva, a teatro con “Quanto basta”

Intervista ad Alessandro Piva, a teatro con “Quanto basta”

"Spero che gli spettatori possano uscire dalla sala con occhi nuovi per guardare ai cari con meno insofferenza"

Michele Cotugno by Michele Cotugno
26 Dicembre 2024
in Cultura e Spettacolo, Notizie dall'Area Metropolitana
Alessandro Piva
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Tra toni comici e malinconica poesia, al Teatro Forma di Bari va in scena la quotidianità. Una quotidianità fatta di affetti familiari e dolci tradizioni, ma anche di drammi, spesso irrisolti, che ciascuno di noi porta dentro. Sono i temi di “Quanto Basta“, spettacolo diretto da Alessandro Piva e interpretato da Lucia Zotti e Paolo Sassanelli. Dopo il successo delle precedenti rappresentazioni, la produzione, a cura di Seminal Film, torna in Puglia dal 27 dicembre al 5 gennaio.

Le vicende dei protagonisti, i coniugi Nicla e Mimmo, «coppia di anziani affettuosamente borbottoni», si svolgono in una classica cucina barese, il più tradizionale degli ambienti domestici, che riporta lo spettatore a una dimensione intima che richiama frammenti del proprio vissuto. Tra diverbi giornalieri e reciproche accuse, emergono le dinamiche di una relazione fatta di abitudine e amore infeltrito dal tempo. Emergono conflitti interiori generati da una vita che spesso non mantiene le promesse. Mimmo e Nicla potrebbero essere chiunque tra noi.

«L’ispirazione di base – spiega il regista – è data dagli anziani che si siedono sui balconi o fuori dalle porte tra le stradine di paese e guardano lo scorrere del tempo che pare non essere più una presenza interna, ma esterna perché nella parte finale della vita le persone sono inclini a partecipare un po’ di meno e a godersi i frutti di lavoro, sacrifici, dolori attraversati nella loro esistenza. Un richiamo che è anche un invito allo spettatore a guardare con distacco partecipato alle vicende della vita».

Ad ispirare le vicende di Nicla e Mimmo, anche ricordi personali, legati al vissuto personale e familiare del regista e di chi ha contribuito alla stesura della sceneggiatura, come ammette Piva, che vede in “Quanto basta” un modo di restituire alla città di Bari l’affetto con cui lo ha sempre accolto.

«Tutti siamo coautori – aggiunge -. Dovremmo condividere i diritti della sceneggiatura con i nostri parenti: mia madre è inconsapevole autrice del 50% delle situazioni narrate. Altra ispirazione e il teatro di De Filippo che tanta importanza ha avuto nella mia crescita, nella mia infanzia perché appartengo a una generazione che ogni anno guardava la commedia di Eduardo in televisione a Natale. La quotidianità è anche il segno distintivo del neorealismo italiano e mi fa pensare a Joyce e al racconto delle avanguardie dell’800 e del ‘900. Una parabola sardonica, tragicomica, melanconica, tenera sulle nostre piccole miserie e sulla infinita poesia dell’umanità in ognuno di noi».

La cucina è il fulcro del racconto: «Sono cresciuto in una famiglia in cui salotto e bagno “buono” erano riservati a ospiti che non arrivavano mai. Tutto si svolgeva in cucina, con un focolare 2.0 che è stata la tv. D’altra parte, l’intuizione di questo spettacolo arriva dall’osservazione del balcone. Tutto è concentrato sull’idea dello spettatore che, come un dirimpettaio, possa sbirciare nell’intimo altrui, senza essere invadente».

Lo spettacolo racconta la schizofrenia del sistema sociale in cui viviamo, con mille perbenismi che ci portano a essere più rispettosi e pazienti con sconosciuti, che con chi vive con noi quotidianamente. Un sistema che genera finti sorrisi con gli estranei e sfoghi tra le mura domestiche.

“Quanto basta”, per il regista, è uno dei primi approcci con il teatro contemporaneo: «Mi piace esplorare i mezzi di comunicazione ed espressione artistica: ho fatto radio, cinema, tv, opera lirica. Il teatro arriva nel momento giusto, dopo il lockdown e l’allontanamento dagli eventi dal vivo: un tentativo di riavvicinarmi al pubblico. Per me è stata una scoperta straordinaria».

La Puglia è essere una costante nelle opere di Piva, sia come ambientazione sia come ispirazione culturale, e anche in questo spettacolo emerge attraverso la cucina locale.
«Come molti sanno, ma non tutti – e questo è anche un po’ divertente per me – io non sono nato in Puglia, pur avendo sangue pugliese (una parte della mia famiglia è di origine foggiana e una parte lontanissima è di origine salentina). Forse proprio il fatto di essere allo stesso tempo vicino e lontano da questa regione (la mia infanzia l’ho vissuta tra Lazio, Campania e Basilicata dove i miei si sono trasferiti per motivi di lavoro) di non esservi totalmente intrecciato mi ha permesso di esserne affascinato e di osservarla con la giusta distanza dallo spirito locale. Il fatto che dal punto di vista ambientale, del paesaggio e della cultura popolare, la Puglia sia una regione straordinaria, ma troppo poco raccontata, mi ha consentito di esprimere il mio gesto artistico in maniera originale. Ho potuto essere tra le prime voci a volerne parlare. Pensiamo ai campani, ai napoletani in particolare, o ai siciliani o ancora alla cultura sarda – sto parlando di altri esempi del territorio meridionale – che hanno un background, una eredità, una cultura gigantesca. Mentre, se pensiamo al fatto che Modugno si fingeva tutto fuorché pugliese nei primi anni di carriera pur di sfondare, possiamo capire che noi pugliesi abbiamo delle spalle meno solide, una cultura ereditata di cui ancora forse non riconosciamo il valore, ma proprio per questo esiste una possibilità più ampia di esplorare territori e una curiosità del pubblico italiano e internazionale molto più predisposta a scoprire una regione così prepotentemente alla ribalta negli anni più recenti. D’altronde uno dei miei scrittori preferiti in assoluto, Beppe Fenoglio, ha ambientato tutti i suoi racconti in una stessa limitatissima area geografica: le langhe».

Lo spettacolo, dunque, punta ad essere popolare, facile ma non inutile. Punta a divertire e far riflettere. Nessun dress code e nessuna preoccupazione per formalità e convenzionalità: «Spero che gli spettatori escano con occhi nuovi per guardare ai cari con meno insofferenza. Pur non essendo il Papa, mi sento di suggerire al pubblico di tornare a casa e fare una carezza a moglie, marito, figlio, nonno. Perché una cosa è certa: se oggi ci sono insofferenze o se fatichiamo a gestire la routine faticosissima del vivere quotidiano, tra tutti i mille ostacoli e stress che ci assalgono giorno dopo giorno, quando non avremo questi cari a nostra disposizione per sfogare le mille tensioni del quotidiano, ci mancheranno in maniera incommensurabile».

 

Tags: alessandro PivabariLucia Zottipaolo sassanelliquanto bastateatroteatro forma
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