Ieri pomeriggio sono tornato a casa dei miei. Non l’avevo quasi mai fatto dopo la morte di mia madre, che se ne è andata lo scorso novembre, quindici mesi dopo mio padre. Ma le ragazze mi avevano chiesto di riaprire il vecchio e un po’ cigolante armadio di nonna Caterina, alla ricerca di un vestito per il musical in parrocchia.
Lo hanno fatto con l’ilare affetto che la loro età riserva alle “cose” della nonna. Esibendosi in divertite prove-vestito davanti allo specchio della vecchia “pettiniera” e trovando assolutamente belle e alla moda anche alcune borse di mia madre.
Mentre loro rovistavano tra i vestiti io provavo a farlo tra i ricordi. Ma la sensazione più dolce che ho provato, mentre me ne stavo accoccolato nella sdrucita poltrona di mio padre, è stato gustare il profumo d’antico, il silenzio e il generoso fascio di luce che il sole di un pomeriggio di giugno faceva filtrare nella stanza da letto dei miei.
Ieri sera, tornando a casa, per uno di quei segni che la vita misteriosamente mette sui nostri passi, abbiamo visto “La grande bellezza”.
Una delle prime battute del film è “Quando, da giovane, mi chiedevano: cosa c’è di più bello nella vita? E tutti rispondevano: la fessa!, io solo rispondevo: l’odore delle case dei vecchi. Ero condannato alla sensibilità”. Ecco, l’odore delle case dei vecchi, il silenzio, il fascio di luce del sole di giugno. Le nostre piccole grandi bellezze.