L’amore, un sentimento che allarga le maglie di un cuore che arde e dona forza e potere di emozionare ed emozionarsi, splendere, cadere e rialzarsi. È ovunque, anche e soprattutto dietro quelle crepe che a volte vogliono far prevalere il cinismo. È così travolgente che non s’arresta. Nel suo moto, a volte ci si perde per poi ritrovarsi ed è quello che è successo ad Ade e Persefone, Euridice ed Orfeo. Ci si perde per le vie dell’impossibile, del tempo che inesorabilmente passa e della vita che tutto dà e tutto toglie, a volte. Nella fragilità e nell’arte, ci si ritrova. È questa la luce che brillava negli occhi di Okiko, dei figli della luna che, domenica, hanno registrato un altro straordinario successo al museo diocesano Aurelio Marena di Bitonto dove sono andati in scena con la prima assoluta di “Perse”. Uno spettacolo teatrale, scritto e diretto dal regista Piergiorgio Meola e inserito nella rassegna TU diretta da Cecilia Maggio e organizzata e coordinata da Marilisa Rienzo, che è entrato nel cuore del pubblico. A dimostrarlo, la standing ovation finale, gli applausi a scena aperta e le emozioni di ogni singolo spettatore, così vive e belle. In scena, due miti ovidiani che si intrecciano e creano poesia. Chiave della magia nell’unione di mondi e storie, le coreografie curate da Magda Brown e messe in scena dalle ninfe (Carmen Toscano, Giorgia Schiraldi, Magda Brown, Noemi Farella e Terry La Tegola che ha magistralmente recitato alcuni passi dei due miti). L’amore di Ade e Persefone (Davide Ventura e Rosa Masellis), fatto di luci ed ombre. Un chicco di melograno si narra che la rese schiava, ma comunque regina dell’Oltretomba, travolta dall’amore del dio degli Inferi che la rapì e strinse un patto con sua madre Demetra: un terzo dell’anno lo avrebbe trascorso negli inferi, il resto nel mondo dei vivi dove sarebbe stata “regina della fioritura”. «Quando l’ho vista per la prima volta credevo che nessun volto fosse così bello. La sua voce, la sua libertà. Mi attirava quel suo modo di essere così leggera, quasi come se fosse regina di un regno tutto suo, invalicabile, irraggiungibile. Una dea, padrona di se stessa e basta». Il loro matrimonio è in letteratura letto da alcuni autori come forzato, ma in queste parole di Ade si legge l’essenza di un uomo che sì riesce a conquistare la sua amata, ma che non la “possiede”, la fa “regina del suo regno”, le dona libertà ed è in grado di amarla anche quando «il suo amore non gli riguarda» perché «l’importante è sapere che anche solo per un istante possa essere felice». Il cuore di Persefone è «malato» perché «nonostante sappia la verità torna sempre sui suoi passi prima o poi, come se non potesse fare altrimenti, come fossi costretta. Ma la verità è un’altra. Si può desiderare di essere l’unica non solo per uno ma per due cuori? La mia vanità arrogante ne è ancora pienamente convinta». È divisa tra due mondi, due cuori: quello di Ade e di Orfeo. Persefone, quella fanciulla immatura che «correva con le care compagne nella valle», le sue bianche ed eteree ninfe, è poi diventata regina saggia e rispettata. È il simbolo del potere delle donne che, mettendosi in gioco, trovano sempre il coraggio di combattere per ottenere quello che vogliono, sperimentare il nuovo e diventare più forti. In lei vi è una continua tensione verso la crescita che è quel dono inesorabile che rende una donna sempre giovane e ricettiva nei confronti di quello che la vita ha da offrirle. Quello di Orfeo ed Euridice (Lorenzo Palmieri e Angelica Andriani) è un amore leggendario in grado di sfidare la Morte senza arrendersi. Lui, poeta per eccellenza e personificazione del canto. Lei, la sua musa. È simbolo dell’anima, della spiritualità che l’artista ammira, ama e dalla quale è riamato. Il loro mito insegna che il fato è implacabile, ma anche che l’amore è irripetibile e delle volte si nutre di distanze che sembrano impercorribili, quelle stesse che Orfeo supera grazie alla sua arte, scendendo negli Inferi dove la sua amata era finita perché morsa da un serpente. L’avrebbe potuta riavere con sé solo se nel ritornare nel mondo degli umani non si fosse “mai voltato indietro”, altrimenti sarebbe rimasta negli Inferi. Il passo di Orfeo è da tutti “cantato”, c’è chi dice che il suo gesto di voltarsi alla fine del percorso sia stato calcolato o sia stato sinonimo di una mancata fiducia nella sua amata, c’è chi ne ha letto solo la paura di perdere Euridice. Ma si sa, l’amore è beffardo. Più si ha paura di perdere qualcuno, più si finisce di perderlo realmente. E se Euridice in tutto questo avesse avuto voce? Il regista Meola ha voluto trovare risposta a questa domanda, dando una lettura inedita del mito che lascia spazio a diverse riflessioni. È stato Ade sotto sembianze di un serpente a mordere Euridice, ma non è stata altro, in realtà, che una “mossa avvincente” di Persefone che forse ha voluto mettere alla prova il suo sposo tentando di riconquistare il suo “vecchio amico” Orfeo che ha però occhi solo per la sua musa. Euridice negli Inferi si abbandona al potere della Morte e ne scova la bellezza fino a non volersene più separare. E se fosse stata Euridice piuttosto che Orfeo a voltarsi indietro? L’amore pone di fronte a scelte a volte difficili che stravolgono la vita di chi ha il coraggio di prenderle. Euridice ha il potere di scegliere e di essere la musa del suo stesso cuore.
L’amore, un sentimento che allarga le maglie di un cuore che arde e dona forza e potere di emozionare ed emozionarsi, splendere, cadere e rialzarsi. È ovunque, anche e soprattutto dietro quelle crepe che a volte vogliono far prevalere il cinismo. È così travolgente che non s’arresta. Nel suo moto, a volte ci si perde per poi ritrovarsi ed è quello che è successo ad Ade e Persefone, Euridice ed Orfeo. Ci si perde per le vie dell’impossibile, del tempo che inesorabilmente passa e della vita che tutto dà e tutto toglie, a volte. Nella fragilità e nell’arte, ci si ritrova. È questa la luce che brillava negli occhi di Okiko, dei figli della luna che, domenica, hanno registrato un altro straordinario successo al museo diocesano Aurelio Marena di Bitonto dove sono andati in scena con la prima assoluta di “Perse”. Uno spettacolo teatrale, scritto e diretto dal regista Piergiorgio Meola e inserito nella rassegna TU diretta da Cecilia Maggio e organizzata e coordinata da Marilisa Rienzo, che è entrato nel cuore del pubblico. A dimostrarlo, la standing ovation finale, gli applausi a scena aperta e le emozioni di ogni singolo spettatore, così vive e belle. In scena, due miti ovidiani che si intrecciano e creano poesia. Chiave della magia nell’unione di mondi e storie, le coreografie curate da Magda Brown e messe in scena dalle ninfe (Carmen Toscano, Giorgia Schiraldi, Magda Brown, Noemi Farella e Terry La Tegola che ha magistralmente recitato alcuni passi dei due miti). L’amore di Ade e Persefone (Davide Ventura e Rosa Masellis), fatto di luci ed ombre. Un chicco di melograno si narra che la rese schiava, ma comunque regina dell’Oltretomba, travolta dall’amore del dio degli Inferi che la rapì e strinse un patto con sua madre Demetra: un terzo dell’anno lo avrebbe trascorso negli inferi, il resto nel mondo dei vivi dove sarebbe stata “regina della fioritura”. «Quando l’ho vista per la prima volta credevo che nessun volto fosse così bello. La sua voce, la sua libertà. Mi attirava quel suo modo di essere così leggera, quasi come se fosse regina di un regno tutto suo, invalicabile, irraggiungibile. Una dea, padrona di se stessa e basta». Il loro matrimonio è in letteratura letto da alcuni autori come forzato, ma in queste parole di Ade si legge l’essenza di un uomo che sì riesce a conquistare la sua amata, ma che non la “possiede”, la fa “regina del suo regno”, le dona libertà ed è in grado di amarla anche quando «il suo amore non gli riguarda» perché «l’importante è sapere che anche solo per un istante possa essere felice». Il cuore di Persefone è «malato» perché «nonostante sappia la verità torna sempre sui suoi passi prima o poi, come se non potesse fare altrimenti, come fossi costretta. Ma la verità è un’altra. Si può desiderare di essere l’unica non solo per uno ma per due cuori? La mia vanità arrogante ne è ancora pienamente convinta». È divisa tra due mondi, due cuori: quello di Ade e di Orfeo. Persefone, quella fanciulla immatura che «correva con le care compagne nella valle», le sue bianche ed eteree ninfe, è poi diventata regina saggia e rispettata. È il simbolo del potere delle donne che, mettendosi in gioco, trovano sempre il coraggio di combattere per ottenere quello che vogliono, sperimentare il nuovo e diventare più forti. In lei vi è una continua tensione verso la crescita che è quel dono inesorabile che rende una donna sempre giovane e ricettiva nei confronti di quello che la vita ha da offrirle. Quello di Orfeo ed Euridice (Lorenzo Palmieri e Angelica Andriani) è un amore leggendario in grado di sfidare la Morte senza arrendersi. Lui, poeta per eccellenza e personificazione del canto. Lei, la sua musa. È simbolo dell’anima, della spiritualità che l’artista ammira, ama e dalla quale è riamato. Il loro mito insegna che il fato è implacabile, ma anche che l’amore è irripetibile e delle volte si nutre di distanze che sembrano impercorribili, quelle stesse che Orfeo supera grazie alla sua arte, scendendo negli Inferi dove la sua amata era finita perché morsa da un serpente. L’avrebbe potuta riavere con sé solo se nel ritornare nel mondo degli umani non si fosse “mai voltato indietro”, altrimenti sarebbe rimasta negli Inferi. Il passo di Orfeo è da tutti “cantato”, c’è chi dice che il suo gesto di voltarsi alla fine del percorso sia stato calcolato o sia stato sinonimo di una mancata fiducia nella sua amata, c’è chi ne ha letto solo la paura di perdere Euridice. Ma si sa, l’amore è beffardo. Più si ha paura di perdere qualcuno, più si finisce di perderlo realmente. E se Euridice in tutto questo avesse avuto voce? Il regista Meola ha voluto trovare risposta a questa domanda, dando una lettura inedita del mito che lascia spazio a diverse riflessioni. È stato Ade sotto sembianze di un serpente a mordere Euridice, ma non è stata altro, in realtà, che una “mossa avvincente” di Persefone che forse ha voluto mettere alla prova il suo sposo tentando di riconquistare il suo “vecchio amico” Orfeo che ha però occhi solo per la sua musa. Euridice negli Inferi si abbandona al potere della Morte e ne scova la bellezza fino a non volersene più separare. E se fosse stata Euridice piuttosto che Orfeo a voltarsi indietro? L’amore pone di fronte a scelte a volte difficili che stravolgono la vita di chi ha il coraggio di prenderle. Euridice ha il potere di scegliere e di essere la musa del suo stesso cuore.
L’amore, un sentimento che allarga le maglie di un cuore che arde e dona forza e potere di emozionare ed emozionarsi, splendere, cadere e rialzarsi. È ovunque, anche e soprattutto dietro quelle crepe che a volte vogliono far prevalere il cinismo. È così travolgente che non s’arresta. Nel suo moto, a volte ci si perde per poi ritrovarsi ed è quello che è successo ad Ade e Persefone, Euridice ed Orfeo. Ci si perde per le vie dell’impossibile, del tempo che inesorabilmente passa e della vita che tutto dà e tutto toglie, a volte. Nella fragilità e nell’arte, ci si ritrova. È questa la luce che brillava negli occhi di Okiko, dei figli della luna che, domenica, hanno registrato un altro straordinario successo al museo diocesano Aurelio Marena di Bitonto dove sono andati in scena con la prima assoluta di “Perse”. Uno spettacolo teatrale, scritto e diretto dal regista Piergiorgio Meola e inserito nella rassegna TU diretta da Cecilia Maggio e organizzata e coordinata da Marilisa Rienzo, che è entrato nel cuore del pubblico. A dimostrarlo, la standing ovation finale, gli applausi a scena aperta e le emozioni di ogni singolo spettatore, così vive e belle. In scena, due miti ovidiani che si intrecciano e creano poesia. Chiave della magia nell’unione di mondi e storie, le coreografie curate da Magda Brown e messe in scena dalle ninfe (Carmen Toscano, Giorgia Schiraldi, Magda Brown, Noemi Farella e Terry La Tegola che ha magistralmente recitato alcuni passi dei due miti). L’amore di Ade e Persefone (Davide Ventura e Rosa Masellis), fatto di luci ed ombre. Un chicco di melograno si narra che la rese schiava, ma comunque regina dell’Oltretomba, travolta dall’amore del dio degli Inferi che la rapì e strinse un patto con sua madre Demetra: un terzo dell’anno lo avrebbe trascorso negli inferi, il resto nel mondo dei vivi dove sarebbe stata “regina della fioritura”. «Quando l’ho vista per la prima volta credevo che nessun volto fosse così bello. La sua voce, la sua libertà. Mi attirava quel suo modo di essere così leggera, quasi come se fosse regina di un regno tutto suo, invalicabile, irraggiungibile. Una dea, padrona di se stessa e basta». Il loro matrimonio è in letteratura letto da alcuni autori come forzato, ma in queste parole di Ade si legge l’essenza di un uomo che sì riesce a conquistare la sua amata, ma che non la “possiede”, la fa “regina del suo regno”, le dona libertà ed è in grado di amarla anche quando «il suo amore non gli riguarda» perché «l’importante è sapere che anche solo per un istante possa essere felice». Il cuore di Persefone è «malato» perché «nonostante sappia la verità torna sempre sui suoi passi prima o poi, come se non potesse fare altrimenti, come fossi costretta. Ma la verità è un’altra. Si può desiderare di essere l’unica non solo per uno ma per due cuori? La mia vanità arrogante ne è ancora pienamente convinta». È divisa tra due mondi, due cuori: quello di Ade e di Orfeo. Persefone, quella fanciulla immatura che «correva con le care compagne nella valle», le sue bianche ed eteree ninfe, è poi diventata regina saggia e rispettata. È il simbolo del potere delle donne che, mettendosi in gioco, trovano sempre il coraggio di combattere per ottenere quello che vogliono, sperimentare il nuovo e diventare più forti. In lei vi è una continua tensione verso la crescita che è quel dono inesorabile che rende una donna sempre giovane e ricettiva nei confronti di quello che la vita ha da offrirle. Quello di Orfeo ed Euridice (Lorenzo Palmieri e Angelica Andriani) è un amore leggendario in grado di sfidare la Morte senza arrendersi. Lui, poeta per eccellenza e personificazione del canto. Lei, la sua musa. È simbolo dell’anima, della spiritualità che l’artista ammira, ama e dalla quale è riamato. Il loro mito insegna che il fato è implacabile, ma anche che l’amore è irripetibile e delle volte si nutre di distanze che sembrano impercorribili, quelle stesse che Orfeo supera grazie alla sua arte, scendendo negli Inferi dove la sua amata era finita perché morsa da un serpente. L’avrebbe potuta riavere con sé solo se nel ritornare nel mondo degli umani non si fosse “mai voltato indietro”, altrimenti sarebbe rimasta negli Inferi. Il passo di Orfeo è da tutti “cantato”, c’è chi dice che il suo gesto di voltarsi alla fine del percorso sia stato calcolato o sia stato sinonimo di una mancata fiducia nella sua amata, c’è chi ne ha letto solo la paura di perdere Euridice. Ma si sa, l’amore è beffardo. Più si ha paura di perdere qualcuno, più si finisce di perderlo realmente. E se Euridice in tutto questo avesse avuto voce? Il regista Meola ha voluto trovare risposta a questa domanda, dando una lettura inedita del mito che lascia spazio a diverse riflessioni. È stato Ade sotto sembianze di un serpente a mordere Euridice, ma non è stata altro, in realtà, che una “mossa avvincente” di Persefone che forse ha voluto mettere alla prova il suo sposo tentando di riconquistare il suo “vecchio amico” Orfeo che ha però occhi solo per la sua musa. Euridice negli Inferi si abbandona al potere della Morte e ne scova la bellezza fino a non volersene più separare. E se fosse stata Euridice piuttosto che Orfeo a voltarsi indietro? L’amore pone di fronte a scelte a volte difficili che stravolgono la vita di chi ha il coraggio di prenderle. Euridice ha il potere di scegliere e di essere la musa del suo stesso cuore.
L’amore, un sentimento che allarga le maglie di un cuore che arde e dona forza e potere di emozionare ed emozionarsi, splendere, cadere e rialzarsi. È ovunque, anche e soprattutto dietro quelle crepe che a volte vogliono far prevalere il cinismo. È così travolgente che non s’arresta. Nel suo moto, a volte ci si perde per poi ritrovarsi ed è quello che è successo ad Ade e Persefone, Euridice ed Orfeo. Ci si perde per le vie dell’impossibile, del tempo che inesorabilmente passa e della vita che tutto dà e tutto toglie, a volte. Nella fragilità e nell’arte, ci si ritrova. È questa la luce che brillava negli occhi di Okiko, dei figli della luna che, domenica, hanno registrato un altro straordinario successo al museo diocesano Aurelio Marena di Bitonto dove sono andati in scena con la prima assoluta di “Perse”. Uno spettacolo teatrale, scritto e diretto dal regista Piergiorgio Meola e inserito nella rassegna TU diretta da Cecilia Maggio e organizzata e coordinata da Marilisa Rienzo, che è entrato nel cuore del pubblico. A dimostrarlo, la standing ovation finale, gli applausi a scena aperta e le emozioni di ogni singolo spettatore, così vive e belle. In scena, due miti ovidiani che si intrecciano e creano poesia. Chiave della magia nell’unione di mondi e storie, le coreografie curate da Magda Brown e messe in scena dalle ninfe (Carmen Toscano, Giorgia Schiraldi, Magda Brown, Noemi Farella e Terry La Tegola che ha magistralmente recitato alcuni passi dei due miti). L’amore di Ade e Persefone (Davide Ventura e Rosa Masellis), fatto di luci ed ombre. Un chicco di melograno si narra che la rese schiava, ma comunque regina dell’Oltretomba, travolta dall’amore del dio degli Inferi che la rapì e strinse un patto con sua madre Demetra: un terzo dell’anno lo avrebbe trascorso negli inferi, il resto nel mondo dei vivi dove sarebbe stata “regina della fioritura”. «Quando l’ho vista per la prima volta credevo che nessun volto fosse così bello. La sua voce, la sua libertà. Mi attirava quel suo modo di essere così leggera, quasi come se fosse regina di un regno tutto suo, invalicabile, irraggiungibile. Una dea, padrona di se stessa e basta». Il loro matrimonio è in letteratura letto da alcuni autori come forzato, ma in queste parole di Ade si legge l’essenza di un uomo che sì riesce a conquistare la sua amata, ma che non la “possiede”, la fa “regina del suo regno”, le dona libertà ed è in grado di amarla anche quando «il suo amore non gli riguarda» perché «l’importante è sapere che anche solo per un istante possa essere felice». Il cuore di Persefone è «malato» perché «nonostante sappia la verità torna sempre sui suoi passi prima o poi, come se non potesse fare altrimenti, come fossi costretta. Ma la verità è un’altra. Si può desiderare di essere l’unica non solo per uno ma per due cuori? La mia vanità arrogante ne è ancora pienamente convinta». È divisa tra due mondi, due cuori: quello di Ade e di Orfeo. Persefone, quella fanciulla immatura che «correva con le care compagne nella valle», le sue bianche ed eteree ninfe, è poi diventata regina saggia e rispettata. È il simbolo del potere delle donne che, mettendosi in gioco, trovano sempre il coraggio di combattere per ottenere quello che vogliono, sperimentare il nuovo e diventare più forti. In lei vi è una continua tensione verso la crescita che è quel dono inesorabile che rende una donna sempre giovane e ricettiva nei confronti di quello che la vita ha da offrirle. Quello di Orfeo ed Euridice (Lorenzo Palmieri e Angelica Andriani) è un amore leggendario in grado di sfidare la Morte senza arrendersi. Lui, poeta per eccellenza e personificazione del canto. Lei, la sua musa. È simbolo dell’anima, della spiritualità che l’artista ammira, ama e dalla quale è riamato. Il loro mito insegna che il fato è implacabile, ma anche che l’amore è irripetibile e delle volte si nutre di distanze che sembrano impercorribili, quelle stesse che Orfeo supera grazie alla sua arte, scendendo negli Inferi dove la sua amata era finita perché morsa da un serpente. L’avrebbe potuta riavere con sé solo se nel ritornare nel mondo degli umani non si fosse “mai voltato indietro”, altrimenti sarebbe rimasta negli Inferi. Il passo di Orfeo è da tutti “cantato”, c’è chi dice che il suo gesto di voltarsi alla fine del percorso sia stato calcolato o sia stato sinonimo di una mancata fiducia nella sua amata, c’è chi ne ha letto solo la paura di perdere Euridice. Ma si sa, l’amore è beffardo. Più si ha paura di perdere qualcuno, più si finisce di perderlo realmente. E se Euridice in tutto questo avesse avuto voce? Il regista Meola ha voluto trovare risposta a questa domanda, dando una lettura inedita del mito che lascia spazio a diverse riflessioni. È stato Ade sotto sembianze di un serpente a mordere Euridice, ma non è stata altro, in realtà, che una “mossa avvincente” di Persefone che forse ha voluto mettere alla prova il suo sposo tentando di riconquistare il suo “vecchio amico” Orfeo che ha però occhi solo per la sua musa. Euridice negli Inferi si abbandona al potere della Morte e ne scova la bellezza fino a non volersene più separare. E se fosse stata Euridice piuttosto che Orfeo a voltarsi indietro? L’amore pone di fronte a scelte a volte difficili che stravolgono la vita di chi ha il coraggio di prenderle. Euridice ha il potere di scegliere e di essere la musa del suo stesso cuore.