C’è nella musica di Tommaso Traetta, un subconscio
d’intimità infantile che, ineffabile, aleggia sulla gravida atmosfera del
teatro come un refolo d’inquietudine frammisto ad una certa qual risonante
giocosità. In un’opera matura come il dramma eroicomico “Il Cavaliere Errante” (1778) la manifestazione di quest’indole
musicale non dà adito ad equivoci: le varie espressioni strumentali sembrano
volersi accordare nel dar voce artistica al turbamento, che tuttavia rimane volutamente
ascoso sotto un manto di umoristica pruderie,
tutta settecentesca.
Nell’Opera buffa “Di maghi, cavalieri e follie d’amore io
canto”, diretta dal maestro Vito
Clemente e messa in scena al Teatro
Traetta venerdì 20 Maggio (e sabato 21, con nuovo cast) a Bitonto, la trasposizione teatrale del Cavaliere traettiano è rimasta
coscientemente fedele a questa “consegna”, una fine psicologia della
rappresentazione cui la regia non ha rinunciato, quasi fosse l’esclusivo
espediente per consentire al “comico” di risolversi nella più esplicita
drammaticità ironica.
L’impianto narrativo dell’opera è
di matrice favolistica: Arsinda, donzella francese di nobile lignaggio, ama,
riamata, l’errabondo Cavaliere Guido, paladino di Francia, ma deve subire il
confino in un’isola incantata e sperduta, cui la costringe Stordilano, principe
di Granata. Questi, innamorato della bella donzella, fa compiere da Ismeno, suo
confidente, un sortilegio per convincere Arsinda a sposarlo. Intervengono,
allora, Ruffina, la damigella al servizio di Arsinda, prodiga di consolazioni,
la benigna maga Melissa che annulla il sortilegio, e Calotta, fido scudiero di Guido
che aiuta questi a liberare Arsinda e convolare finalmente a giuste nozze.
Il dramma eroicomico, si sa, è
innanzitutto (e soprattutto) dramma, che in “Di maghi, cavalieri e follie d’amore io canto” rivive, ben
inscenato, nell’incisiva fisicità delle due voci narranti (gli ottimi Antonietta Cozzoli e Giovanni Guarino), come nell’eccelsa corposità
dei recitativi, assecondata da una più che discreta gestualità mimica dei corpi,
che sembra però tenersi un po’ in disparte, come in un’adeguata penombra, per
lasciare il legittimo spazio d’espressione ad un’aria virtuosistica o alla parodia
sempre incombente.
In questa temperie artistica
trova terreno fertile il divertissement del direttore Clemente che evoca, facendolo risuonare come un’eco al contrario,
il mozartiano Flauto magico che ben si
attaglia all’aria traettiana. Il pubblico gradisce la facezia, e la susseguente
ilarità finisce per essere la firma sull’auspicato capitolo di una storiografia
della musica che si vorrebbe un po’ più attenta al Nostro.
C’è un’altra magia, oltre al Flauto mozartiano e accanto a quelle di Melissa (la brillante Maria Cristina
Bellantuono, ottima presenza scenica la sua, e canto armonioso e mai frenetico,
quale autentico fil rouge espressivo
con quella Maga di cui non ci si perde alcuna sfumatura) e di Ismeno (un Giovanni Augelli sì,
compìto, ma che sa porgere con eloquenza il suo personaggio, producendosi
addirittura in una gag in vernacolo barese); si tratta della magia del coro Caffarelli di voci bianche (diretto dal
maestro Emanuela Aymone) capace di spandere un’aura di delicata sacralità anche
su quelle scene che paiono poco permeabili alla voce corale perché esclusivo
appannaggio di una perfetta nuance delle luci.
Ogni dettaglio scenografico (Deni Bianco di Putignano) valorizza la
sua particolarità, lasciando che tra coro azione e musica si crei la perfetta
osmosi.
A giovarsene è soprattutto Stordilano, interpretato da un Antonio
Marzano a buoni livelli di voce e recitazione che gli consentono una presenza
scenica equilibrata e mai ingombrante, neanche quando sfida a singolar tenzone il
Cavaliere Guido, alias Gianni Leccese, primus inter pares, cantante ormai
affermato su di un palcoscenico calcato da studenti di Conservatorio.
L’orchestra (si è notata la
mancanza di legni e ottoni) ha garantito una ricca trama sonora con cui
assicurare alla regia il funzionamento di tutti i suoi ingranaggi. E alla fine
lo spettatore ha intuito la vena eroicomica del dramma, senza però smaniare per
questa o quella soluzione a lieto fine.
Brava Arsinda (Carmela Lopez) che sa pavoneggiarsi, oltre che negli
splendidi costumi creati da Angela Gassi,
nelle leggiadre tonalità di una voce la cui trama sonora sembra cucire apposta
un abito su misura del personaggio.
Ruffina, Lucrezia Porta, persuasiva nei dialoghi (quasi tutti
quelli a due hanno un po’ tarpato le ali alla generale, buona dinamicità di un
po’ tutte le scene) ha retto il confronto con la spesso attigua Arsinda, grazie
ad una notevole versatilità vocale e un convincente linguaggio espressivo del
corpo.
Chiude Calotta (Alberto Comes), scudiero del Cavaliere Guido che, lungi
dall’essere presenza marginale, si mostra attore eclettico capace di conferire
leggerezza e personalità alla metrica delle sue battute.
Non si può, in conclusone, non
citare il certosino lavorio ai fianchi del progetto artistico, eseguito oltre
che da Vito Clemente e dai testé citati Giovanni Guarino e Antonietta Cozzoli,
anche da Maurizio Pellegrini; di Leo Binetti, maestro collaboratore al
pianoforte; di Nicola Cambione,
direttore di palcoscenico; di Vincenzo
Valla, direttore di produzione; dello staff organizzativo composto da Marco
Agostinacchio, Fabiola Barile, Gaetano Loporto, Pierfrancesco Uva.
Il Direttore artistico Vito
Clemente sottolinea con grande chiarezza che:
“Traetta fa parte di quei grandi autori osannati del passato di cui si è
andata via via perdendo la traccia, eppure ci sono echi traettiani in Mozart.
Stasera abbiamo visto l’incontro tra due progetti, il Traetta Opera Festival giunto ormai alla dodicesima edizione, e che
quindi ha navigato tra le varie amministrazioni; e poi questo progetto nuovo
che è L’Orchestra della Città
Metropolitana incontra il Parco delle Arti di Bitonto.
A giugno (11 e 13) faremo in Teatro a Bitonto la Sinfonia n. 2 di Kurt Weill, che è un cavallo di
battaglia dell’Orchestra; e poi due brani di Raffaele Gervasio, che è stato il pedagogo per antonomasia d’intere
generazioni di compositori pugliesi, e ovviamente anche mio maestro; il 30
Settembre a Bitonto in Cattedrale e l’1 Ottobre a Bari in San Nicola faremo la Nona di Beethoven con un coro di circa
180 elementi”.