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Home » A spasso con la Storia/Il “suicidio più bello del mondo”. Evelyn Mchale e la vita stroncata a soli 23 anni

A spasso con la Storia/Il “suicidio più bello del mondo”. Evelyn Mchale e la vita stroncata a soli 23 anni

Nel maggio 1947, si è gettata dall'86esimo piano dell'Empire State Building. La foto dello schianto è diventata una icona del XX secolo

La Redazione by La Redazione
30 Ottobre 2020
in Cultura e Spettacolo
A spasso con la Storia/Il “suicidio più bello del mondo”. Evelyn Mchale e la vita stroncata a soli 23 anni
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Quella di questa domenica, la prima del mese di novembre, è una storia che racchiude tante sotto storie. C’è quella principale, allora, passata alla storia come “il suicidio più bello del mondo”. E poi quelle di cornice, che però sono parte essenziali per capire perché questo gesto sia tale. E quindi una fotografia, anzi forse meglio definirla come la fotografia. Quella che immortala tutto. Che ha fatto il giro del globo. E ha pure ispirato un genio assoluto come Andy Warhol una ventina di anni più tardi.

E poi c’è quella umana, che non si vede. Ma che è il principio di tutto. E che si nasconde dietro e dentro una vita apparentemente normale di una ragazza 23enne che decide di farla finita. Senza se e senza ma. E nel modo più eclatante possibile. Gettarsi dall’86esimo piano dell’Empire State Building di New York.

E pensare che voleva andarsene in silenzio senza fare scalpore.

Di Evelyn Mchale, la protagonista di questa domenica, si sapeva tutto quello che poteva dire una donna della sua età: divisa tra il lavoro da impiegata e le uscite con il fidanzato, i giochi con il nipotino e i preparativi per il suo matrimonio. Sesta di sette figli. Vincent, il padre, lavorava in banca e, perciò, è stato costretto più volte a trasferirsi con tutta la famiglia diverse volte, destabilizzando l’equilibrio familiare. Una volta arrivati a Washington, però, succede che Helen, la madre, in preda a una profonda depressione, ha chiesto il divorzio lasciando il padre con sette bambini da accudire.

Tutte cose che hanno pesato come macigni nella psiche di Evelyn, e che non ha mai saputo superare. Voluto, anche, probabilmente.

Con i fili della memoria corriamo, allora, indietro, fino al 30 aprile 1947.

Evelyn era andata a trovare il suo fidanzato, Barry, in Pennsylvania. Avevano trascorso la serata insieme, probabilmente per festeggiare il compleanno di lui. La mattina successiva, alle 7, prese il treno per New York, la città dove viveva e lavorava, arrivando dopo un paio d’ore.

Si diresse all’Empire State Building, facendo solo una sosta per scrivere poche righe d’addio. Qualche minuto prima delle 10.30, comprò il biglietto per salire alla terrazza panoramica del grattacielo, all’86° piano.

Era una giornata nuvolosa, ma nessuno poteva prevedere che di lì a qualche secondo sarebbe successo qualcosa di rumoroso.

Improvvisamente, uno schianto: era il corpo di Evelyn caduto sul tetto di una limousine parcheggiata nella strada.

E qui entra in scena un altro personaggio. È uno studente di fotografia che si chiama Robert Wiles. Era vicinissimo al luogo della disgrazia, e in pochi secondi, si trovò difronte alla Limousine. Quattro minuti dopo lo schianto, Wiles immortalò la scena, realizzando un’immagine che è divenuta iconica: un solo scatto per fissare non l’orrore di una morte violenta, ma la grazia e la bellezza di una giovane donna che cercava pace. Sembra addormentata Evelyn, che con naturalezza stringe con la mano la collana di perle, e giace placidamente con le caviglie incrociate, mentre la misura della sua morte violenta è evidente nelle lamiere accartocciate e nei vetri rotti della limousine.

Una morte bellissima, dunque. Un ossimoro pazzesco.

La fotografia di Wiles (l’unica pubblicata in tutta la sua vita) ha trovato spazio sulla rivista “Life” il 12 maggio 1947, ed è talmente significativa da aver ispirato Andy Wahrol per la sua opera “Suicide: Fallen Body”.

Evelyn voleva andarsene in silenzio senza fare scalpore, tanto è vero che voleva essere cremata, non avere alcuna cerimonia funebre e nessuna lapide come ricordo. Tutte cose, queste ultime, poi, effettivamente accadute, ma con il suo gesto ha ottenuto l’esatto contrario. È stato impossibile fare silenzio. Ed è impossibile farlo anche dopo oltre 70 anni dall’accaduto.

Ovviamente, ci si domanda ancora i perché di quella tragica mattinata. Dubbi che neanche il suo biglietto di addio ha diradato: “Non voglio che qualcuno della mia famiglia o estraneo veda alcuna parte di me. Potresti distruggere il mio corpo con la cremazione? Prego te e la mia famiglia: non fate per me alcun servizio (funebre), o una cerimonia di ricordo. Il mio fidanzato mi ha chiesto di sposarlo a giugno. Non penso che sarei una buona moglie per nessuno. Sta molto meglio senza di me. Dillo a mio padre, ho troppe tendenze di mia madre”.

Già, il suo fidanzato. Barry.

È morto a 86 anni senza sposarsi…

 

 

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