DI FRANCESCO ROBLES
“se il tempo potesse arrestarsi in questo istante,
si sente che l’eternità sarebbe facile e senza noia”
Piero Calamandrei – Inventario della casa di campagna, 1941.
“U Skefèur” – Storia del bracciante che faceva sportèlle e canestri “i comodi della campagna”, indispensabili per la raccolta delle olive e per deporre i frutti.
Il martedì archeologico
Su un’insolita via Traetta dal sapore andato
fuori dal centro storico, in un martedì lontano
fuori da quelle case dalle doppie mura,
dove meglio le stagioni s’accorano a tradizioni,
superata la “manica della frisola” dedicata a Marconi,
imbocchi via “Cappuccini” e la piazza abbandoni,
pel martedì animato con merci e banconi.
Pochi passi e il mercato stenta,
ancora silenzio su quella giornatella,
in cui a Bitonto si acquista e si novella.
Al primo incrocio, un fiero e paziente bracciante,
senza stand o bancarella, attende pazientemente
sull’angolato marciapiede l’acquirente.
Ai quattro venti è il mercato della sportèlla
l’età artigianale a Bitonto è in passerella.
E’ Martedì a Bitonto, il bracciante Luca Monte improvvisa la sua vendita di sportelle e canestri di varia grandezza ai margini di un crocevia.
Nel centro storico, nelle giornate ventose o piovose quando il bracciante che non guadagnava nulla, o inoccupato per il termine del lavoro stagionale, si arrangiava con questa attività, intrecciando e accestendo rami di ulivo e canne palustri.
Oggi il mestiere si è estinto, ma dovete sapere che interecciare i cesti è il lavoro artigianale più antico del mondo (la tecnica dell’intreccio consentiva una buona aerazione dei frutti contenuti specie nei mesi caldi).
Così anche a Bitonto si istrada e si tesse l’istoria della Puglia, si intreccia la favola con l’arte arrivata a noi sicuramente dalla Magna Grecia.
Componente essenziale di questa attività era la perizia dell’uomo, la tipica sportella di Bitonto era costituita totalmente da rami di ulivo provenienti dalle nostre campagne, oppure era di tipo mista che prevedeva l’aggiunta di squartate e sbucciate canne palustri provenienti dalla lama Balice.
Le ceste servivano principalmente per la raccolta delle olive e avevano la forma toncoconica dotato di robusto manico semicircolare. Particolare era la cura per il rivestimento delle damigiane per l’olio e per il vino, questo doveva essere molto robusto, dovendo sostenere un peso superiore ai 50 kg.
Non tutti i braccianti e contadini potevano avere la predisposizione e la stessa passione alla realizzazione delle sportelle, non tutti avevano la predisposizione alla manualità.
Bisognava saper anche tagliare e scegliere i rami da utilizzare, dividerli per lunghezza e grossezza.
Il tempo adatto per la raccolta dei polloni di ulivo (tagliati dalla base dei tronchi d’ulivo) era a fine estate e lavorati freschi in quanto molto flessibili, ma si utilizzavano anche in altre stagioni utilizzando accorgimenti come la bagnatura.
Oggi possiamo solo immaginare la vita dura di questi uomini, dalle mani callose che serravano fortemente le maglie della sportella che son rimaste strette tutt’oggi in un lavoro per l’eternità.
E pensare, che i nostri nonni avevano già consapevolezza di ecologia e di rispetto per l’ambiente, riuscendo a realizzare prodotti della vita quotidiana con i materiali che la natura ci offre in abbondanza (praticamente a costo nullo).
Noi, invece, travolti dalla civiltà tecnologica e uniformati alla modernità borghese, oggi abbiamo perso questa sensibilità e rispetto per ciò che è naturale, non diamo più valore alle piccole cose perché non abbiamo il tempo e il senso della bellezza e dei valori .
Luca Monte nel ricordo del nipote Francesco Robles