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Home » “So contare i giorni”. Giuseppe Daddiego racconta le sue storie di vita fuori e dentro il carcere

“So contare i giorni”. Giuseppe Daddiego racconta le sue storie di vita fuori e dentro il carcere

Abbandonata la vita criminale e diventato poeta in prigione, l'autore ha raccontato la sue esperienza di vita in un'auobiografia

Michele Cotugno by Michele Cotugno
23 Luglio 2014
in Cronaca
“So contare i giorni”. Giuseppe Daddiego racconta le sue storie di vita fuori e dentro il carcere
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Il carcere svolge davvero quella funzione riabilitativa stabilita nell’ordinamento italiano?
E’ possibile, per chi è nato e cresciuto in un ambiente al di fuori della legalità, rifarsi una vita onesta, lontano dal crimine?
Lo Stato aiuta a reinserirsi nella società?

Temi su cui si organizzano convegni e seminari, con professori, educatori, religiosi, esponenti delle forze dell’ordine. Che a parlarne, invece, sia uno che è stato dall’altra parte della “barricata” è assai più raro.

Giuseppe Daddiego
, classe 1967, è nato a Bari, nel quartiere San Paolo, un tempo molto più degradato rispetto ad oggi.
Una vita segnata sin da subito dall’ingresso nel mondo criminale.
Da ragazzo, infatti, iniziò con i primi furti, gli scippi, le rapine a mano armata, l’uso di droga, nonostante gli sforzi del padre di tenerlo lontano da quel mondo di cui anche lui faceva parte.

Fino all’arresto, nel 1998, nell’ambito di un blitz antimafia, che gli costò diversi anni in diverse carceri italiane. Proprio lì, in quella celle chiuse di pochi metri, affollate e senza igiene, gli si apre un nuovo mondo, quello della poesia.

Scriverà, infatti, due raccolte,  “Un forte vento” (La Vallisa, 2007) e “L’alba di una nuova vita” (La Vallisa, 2009) e un autobiografia dal titolo “So contare i giorni: storie di vita fuori e dentro il carcere” (Stilo Editrice).

Quest’ultima opera è stata presentata ieri a Bitonto dall’autore in persona, presso il Centro di Aggregazione Giovanile. Un’iniziativa organizzata in collaborazione con il “Circolo dei Lettori” e la Libreria del Teatro.
“La lettura mi ha aiutato molto, aiutandomi a capire molte cose che prima mi erano ignote, avendo solo la quinta elementare. Ho cominciato a leggere perché volevo trarre qualcosa di positivo dalla mia detenzione” racconta l’autore, rispondendo alle domande del moderatore Giuseppe Fornelli.

“Dalla lettura sono poi rimasto passato alla scrittura di poesie. Scrivevo perché ero solo e sentivo il forte bisogno di comunicare con gli altri, ma soprattutto con me stesso. Volevo esternare quel che sentivo, quei sentimenti che, in un mondo dove si è costretti a mostrarsi più forti degli altri, non puoi che nascondere”.

“Mondo fermati, sono caduto […] Devo impiccare il mio passato […] Mi sono accorto che il mio peggior nemico sono io” recitano alcuni dei suoi primi versi, nati proprio da questa ricerca interiore.

Le vicende da cui trarre ispirazione di certo non gli sono mancate in carcere: dagli anni frastagliati della sua gioventù, a quelli trascorsi dietro sbarre di metallo, fino ad arrivare all’omicidio di sua madre, da parte di suo padre, appreso dal TgNorba.
Episodio, quest’ultimo, che ha comportato l’allentamento anche del legame con la famiglia.

“Ne ho passate tante, tra furti, sparatorie – ricorda -. Mi ritengo fortunato. Oggi, passeggiando per il mio quartiere, mi vengono in mente tutti quegli amici, molti dei quali sono morti. Amici con cui sono cresciuto e con cui ho cominciato a rubare, inseguendo il mito di Tony Montana (protagonista del film “Scarface”, ndr)”.

Ma il reinserimento nella società è facile? “Assolutamente no – ammette Daddiego -. C’è molta ipocrisia sull’argomento. Ti dicono che devi reinserirti, ma non ti dicono come. Ogni volta che sento parlare di società civile, vorrei che qualcuno mi dica dove sia, come raggiungerla. Sono fuori dal crimine da dieci anni ma non posso ancora avere la patente, perché devo reinserirmi. E così sono costretto a rinunciare anche a molte occasioni di lavoro, sono costretto a rimanere in quel quartiere. Come me ce ne sono tanti altri, desiderosi di avere una vita onesta”.

Per Giuseppe, dunque, il presente non è affatto roseo.
Tuttora senza lavoro, alla soglia dei cinquanta anni, sempre in bilico tra il desiderio di continuare nel suo nuovo percorso di vita, che prevede la scrittura di un nuovo romanzo, e la tentazione della vita criminale per sostenersi economicamente: “Non rubo più non perché abbia paura di ritornare in carcere. La fede mi sta aiutando a non tornare indietro, insieme alla consapevolezza che, un giorno, tutto questo finirà con la morte. La fede mi aiuta ad avere una guida morale, quella guida che a molti manca e che viene meno quando si è presi in giro da politica, istituzioni o da datori di lavoro disonesti, ladri con una penna al posto della pistola. Se sei onesto vieni rispettato di meno”.

Ma a dare forza a Giuseppe sono anche le lettere di altri ragazzi, che vedono in lui una guida, un punto di riferimento per abbandonare la vita criminale: “Mi piacerebbe tantissimo creare un’associazione per aiutare questi ragazzi, per far uscire la loro vena creativa”.

Tags: bitontocarcerecentro di aggregazione giovanileGiuseppe Daddiegoprigione
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