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Home » Senza stipendio da 27 mesi, i dipendenti dell’ASP “Maria Cristina” si giocano la carta della disperazione: sciopero della fame

Senza stipendio da 27 mesi, i dipendenti dell’ASP “Maria Cristina” si giocano la carta della disperazione: sciopero della fame

Ma il loro dramma sembra essere invisibile agli occhi di coloro che, da tempo, avrebbero dovuto prendersi la responsabilità di risolvere la questione

Lucia Maggio by Lucia Maggio
16 Aprile 2018
in Cronaca
Senza stipendio da 27 mesi, i dipendenti dell’ASP “Maria Cristina” si giocano la carta della disperazione: sciopero della fame
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“Presidente, Regione, Sindaco, prendetevi la vostra responsabilità istituzionale” recita uno striscione posizionato all’entrata dell’Istituto Maria Cristina di Savoia.

Tra cartelli e bandiere, da ieri sulle mura dello storico edificio ha trovato anche spazio un nuovo vessillo della disperazione. Accanto a quello che annuncia lo sciopero della fame in corso.

I dipendenti dell’ASP, infatti, da ieri hanno deciso di iniziare questo tipo di protesta, come avevano minacciato (persino tra le risatine dei presenti…) nel Consiglio comunale monotematico andato in scena lo scorso 13 novembre. In scena, appunto. Perché sembra essere stata in realtà una farsa. La seduta ha infatti avuto il compito di sollecitare un incontro con i vertici regionali, tenutosi l’11 dicembre, a cui però non sono mai seguiti fatti.

«Non è stato dato seguito ad ulteriori incontri propositivi sul piano occupazionale in relazione anche al ricollocamento che i lavoratori chiedono presso altri enti (ASL BA, Comune di Bitonto, Regione Puglia, Città metropolitana di Bari, Comune di Palo del Colle) per non si sa quale inerzia da parte degli attori coinvolti a risolvere tale situazione» si legge nel comunicato inviato dagli stessi dipendenti.

A sollevare il morale non ci è riuscito neanche il Consiglio d’Amministrazione, da mesi ormai privo di presidente, che, dopo tante pressioni degli stessi, si è dimesso. Notificando la decisione all’1 di notte di ieri.

«Le dimissioni sono state anche tardive – commentano i lavoratori –. È stato il peggior cda della storia e ha dovuto affrontare forse il momento più difficile dell’ente, senza aiuti di Comune, Regione e Città Metropolitana».

Già, perché la loro situazione sembra essere sconosciuta a tutti. Persino al governatore della Puglia, Michele Emiliano. «Siamo stati noi ad informarlo della nostra situazione – dichiarano i lavoratori –. Possibile che nessuno lo abbia mai avvertito?».

Eppure il dramma è sotto gli occhi di tutti ed è davvero grave. Carte alla mano, infatti, la situazione debitoria al 28 febbraio 2018 è di 2milioni 116mila 569 euro e 27 centesimi, di cui oltre la metà (esattamente 1 milione 323 mila 843 euro e 93 centesimi) sono debiti maturati nei confronti dei dipendenti e collaboratori, nonché verso gli istituti previdenziali, per il pagamento di retribuzioni, compensi e contributi.

Gli stipendi sono infatti fermi a marzo 2016, per un totale di 27 mensilità arretrate. Senza pensare al salario accessorio, latitante sin dal 2012.

Entro fine mese l’ente dovrà procedere inoltre al pagamento di 58mila euro, pena la sospensione delle forniture.

«Speriamo che l’ente venga commissariato e si proceda subito al nostro ricollocamento» dichiarano i lavoratori che, tutti tranne uno, sono stati messi in mobilità solo il 13 aprile. La stessa data riportata sul documento di informativa preventiva di eccedenze di personale.

Secondo l’ex presidente facente funzioni, Grazia Scaraggi, infatti, 2 (su 3) impiegati dell’area amministrativa, tutti i 4 addetti alla portineria e pulizie, le 2 persone impegnate nel trasporto di minori, tutte le 3 unità del servizio cucina e tutte le 5 vigilatrici-educatrici sarebbero “di troppo”, a causa della sospensione dei servizi e dell’assenza di utenti.

«Noi continueremo a lottare – assicurano i dipendenti –, non solo rimanendo qua. Andremo ovunque, anche in Regione».

Intanto, il dramma ha causato un’altra vittima. Un’operatrice, impossibilitata a pagare gli affitti, è stata sfrattata e ha deciso di trasformare la sua sede di lavoro nella sua casa, occupando una parte dell’edificio.

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