Il 26 agosto 1915, poco prima dell’alba, accadde a Santo Spirito un episodio poco conosciuto della Prima Guerra Mondiale. Due navi da guerra dell’impero austroungarico esplosero a sorpresa alcuni colpi di cannone verso l’allora frazione di Bitonto. Nessun grave danno, ma solo tanta paura per gli abitanti della località marina. Fu un episodio isolato di una guerra che si combattè al Nord Italia, per conquistare i territori irredenti.
A ricordarlo, giovedì, è stato il ricercatore Giovanni Battista Cersosimo intervenuto durante l’incontro “Dolorosa ci fu la partenza e il ritorno per molti non fu. Memoria di avvenimenti della Grande Guerra (1915-1918)”, per presentare la sua ricerca sui soldati di Santo Spirito morti nel conflitto. L’incontro, organizzato da Comitato “Bitonto onora i suoi caduti”, Centro Ricerche Bitonto, Fidapa, Comitato Feste Patronali e Arcidiocesi Bari Bitonto, è stato un’occasione per ricordare ancora una volta i tragici avvenimenti della grande guerra, di cui, in questi anni, celebriamo il centenario, e il tributo di sangue offerto da Bitonto (ricordiamo che fino al 1928 Santo Spirito era frazione bitontina).
«La mia ricerca si pone l’obiettivo di dare agli abitanti di Santo Spirito maggiori informazioni rispetto ai dieci nomi riportati sul monumento ai caduti davanti alla stazione della località» ha spiegato l’autore, riportando quanto scritto nel ’77 dal professor Gregorio Ancona, già docente del Liceo Classico, che ha raccontato nel libro “Santo Spirito – Bari – Villaggio rimpianto” la sua testimonianza del cannoneggiamento.
Sul monumento sono riportati solo i nomi dei soldati morti, tutti ovviamente nati a Bitonto. Cersosimo, attraverso l’esame di numerosi documenti, è riuscito ad aggiungere dettagli importanti su ciascuno di loro: «La battaglia si combattè lungo i sacri confini, ma la nostra regione diede un contributo grandissimo. Quasi tutte le famiglie hanno un caduto sul Monte San Michele, a Gorizia, a San Martino del Carso, sull’Isonzo».
Un contributo di sangue ricordato anche dal giornalista Marino Pagano, che ha evidenziato come il fronte fu un primo esperimento di coesione degli italiani: «Molti furono i meridionali chiamati a combattere. È utile ricordarlo non per fare del frontismo interno, ma per riscoprire la nostra identità, la nostra storia, piena di sofferenza, già a partire con la forte emigrazione degli anni precedenti».
Il professor Enzo Robles ha, invece, ricordato il rapporto tra la guerra e la fede, la devozione per i santi e per l’Immacolata che in questi giorni celebriamo: «Possiamo vedere la guerra attraverso i volti della miseria, il dolore dei profughi o la capacità di sostenere gli animi in momenti così difficili. Il popolo ha un modo tutto suo di interpretare la storia, non tramite i documenti, ma tramite il vissuto quotidiano, attraverso la devozione ai santi. Fattori difficilmente riportati sui documenti. La paura di perdere i propri cari ha favorito la devozione ai santi. In particolare verso l’Immacolata. Le donne si riunivano in piazza, come ad esempio, nell’allora piazza del Plebiscito (oggi piazza Cavour, ndr) per invocare l’intervento dell’Immacolata per proteggere mariti, fratelli, figli partiti per il fronte».
Ospite dell’evento anche il maestro Fulvio Creux, ex direttore della Banda dell,’Esercito Italiano, che analizzando brani storici come Giovinezza, ‘O Surdato ‘Nnamorato e tanti altri, ha sottolineato i sentimenti di dolore, speranza racchiusi in quei testi spesso poco compresi realmente: «’O Surdato ‘Nnamurato è il triste racconto di un soldato che, partito al fronte, chiedealla propria amata di dimenticarlo, consapevole di non avere futuro».
Il maestro Creux ha inoltre inquadrato queste musiche tra le musiche risorgimentali, che non si esauriscono con il Risorgimento o con la Prima Guerra Mondiale: «Possiamo includere in questa categoria anche “Vola colomba” di Nilla Pizzi, presentata al Festival di Sanremo del ’52. Attraverso la musica possiamo ricostruirla storia».