Quel
ramo dello spartitraffico che volge non si sa bene dove, tutto pieno di
sporgenze e rientranze giallonere, quasi a un tratto presenta uno spintrone
color della pece, che vince la volontà di chi scarpina e sosta deve fare.
Proprio lì, nel meriggio addolorato di ieri, dì del Signore Domineddio, dopo
lauto simposio, Renzo, cantore di Partenope melodiosa, avea intenzione di
fuggire via con l’amata Lucia, fanciulla butuntina dal cuor ferito da Cupido
saettante.
La carrozza scalpitante – e un po’ acaruata – era pronta per ospitare la leggiadra
principessa e condurla lontano in campana terra.
Il sogno d’amore che fassi realtà?
Macché. “Questo matrimonio non s’ha da
fare, né domani né mai”, tonitruo rimbrotto d’improvviso cala dalla di lei madre.
Ma i genitori di lui, fino a quel punto allegri commensali, d’un subito adirati
anzichenò, respingono al mittente il minace imperio.
Presto, il dialettico certame si muta in tumultuosa zuffa.
Le consuocere provano la tenuta delle rispettive capigliature a strappi di
rubeste mani.
Gli uomini impettiscono siccome galli sfidantisi nella pulverulenta aia.
E’ furibondo acciaccapesta.
A sirene spiegate piombano torvi i birri per rasserenare gli animi sconvolti. Persino
il carro dei soccorritori d’infermi giunge pietoso a sorreggere la genitrice
della donzella vaga d’ugole d’oro.
Dinanzi ad innumeri astanti sgomenti, gli uomini della legge a fatica ridonano
quiete alla tormentata mischia amorosa.
Ma sarà tutto finito lì? Al prossimo capitolo (e ci perdoni Don Lisander meneghino s’abbiamo tanto osato, ma l’assist della cronaca era troppo ghiotto per non insaccare)…