Ha fatto scalpore, ieri, leggere il nome dell’ex senatore Giovanni Procacci tra coloro che sono stati intercettati nell’ambito dell’inchiesta della Guardia di Finanza “Do ut des”, volta a svelare i misteri della Parentopoli che si anniderebbe fra i corridoi dell’Università degli studi di Bari.
Pare, infatti, che nei dialoghi del professor Loiodice spunti il nome del politico bitontino circa un concorso di dottorato di ricerca nel quale era impegnato il di lui figlio Pasquale.
Nell’inchiesta, datata 2009 e curiosamente riemersa agli onori della cronaca in questi giorni, è bene sottolineare come sia Procacci sia il figlio non siano affatto indagati.
Di qui, le notevoli perplessità espresse ieri dall’ex detentore del laticlavio concittadino, dichiaratosi addirittura pronto a sottoporre gli elaborati del figlio ad una nuova commissione.
Tuttavia, la polemica è esplosa inevitabilmente nei social – moderna agorà – dove a prendere la parola è stato il candidato alle primarie regionali del centrosinistra, Guglielmo Minervini, che così ha duramente rampognato il dirigente regionale pd: “I fessi. E’ evidente che i fessi siamo noi che abbiamo educato i figli sostenendo che nella vita si cammina in piedi.
E che contano la fatica, l’impegno, il merito, l’onestà.
E che solo quando ti conquisti un risultato con le tue forze, allora senti il profumo della libertà.
E’ evidente che il fesso sono io.
Dieci anni assessore regionale, nientepopodimeno, e una figlia a Milano ancora a sbattersi in giro, con tutte le sue energie, per cercare uno stage non retribuito, dopo un lavoro precario in condizioni da sfruttamento.
In fondo, come ci ricorda Procacci, se sei un “politico” di punta basta una telefonata all’amico barone, et voilà, dottorato vinto per tuo figlio, primo passo di una carriera luminosa spianata in forza di un cognome che sfonda i traguardi come un ariete.
Con buona pace di chi quel posto lo meritava davvero, ma essendo privo del supporto di una buona famiglia, si è visto sorpassato a destra: gli auguriamo, davvero di cuore, migliore successo.
Quelle intercettazioni tra l’accademico e il coordinatore della segreteria regionale del PD, l’uomo più vicino di Michele Emiliano, sono una ferita profonda.
Offendono il nostro popolo.
Ovviamente non ci interessa il rilievo penale della vicenda ma esclusivamente i due nodi politici che solleva.
Il primo riguarda la credibilità di una classe dirigente che in pubblico difende i principi della giustizia e in privato osserva la pratica della propria tutela.
Il secondo riguarda la politica nel suo complesso. Il nepotismo e il clientelismo sono il male oscuro del paese. Se sei figlio di nessuno devi restare al palo della vita. Non conta quello che vali, ma come ti chiami, chi conosci, chi ti sponsorizza.
Questa logica non produce solo ingiustizia ma anche impoverimento sociale.
La cultura dei “figli di” genera un’università dequalificata, una ricerca inefficace, una scuola scadente, una pubblica amministrazione degradata.
Una società peggiore.
Insomma, ogni volta che passa una raccomandazione si toglie a tutti non a uno solo.
La raccomandazione è una ferita sociale non solo uno scippo individuale.
Non si disincaglia la Puglia dalla crisi se non riusciamo a dire a tutti i pugliesi, specie ai giovani, che qui le regole sono le regole e la trasparenza è la trasparenza.
E le opportunità sono davvero per tutti, sopratutto per i figli di nessuno, per i meno protetti e i meno garantiti.
Ecco perché un partito di “quelli che raccomandano i propri figli” è il principale avversario del cambiamento della Puglia.
Procacci dovrebbe avvertire il bisogno di togliere il PD dall’imbarazzo dimettendosi dall’incarico di rappresentanza.
Il segretario regionale spero glielo abbia chiesto”.
Giovanni Procacci, dal canto suo, non ha fatto tardare la sua amareggiata risposta: “Gratuito per non essere minimamente indagato, tu colpisci un amico senza che ci sia una verità acclarata, solo per colpire il tuo avversario Emiliano.
Dove è finita la tua correttezza morale, la tua coscienza, la tua umanità? Non hai giustamente chiesto di dimettersi a persone a te vicine ogni giorno che sono indagate e forse saranno rinviate a giudizio, lo chiedi a me che non sono neppure sfiorato da coinvolgimenti giudiziari? E che non ricopro incarichi di rilievo.
Chiediti nella tua coscienza:”Avresti agito così se non ci fossero state le primarie e io non avessi sostenuto Emiliano?
Non mi rimane che augurarti giorni sereni, sperando che non pubblicamente, ma almeno nella tua coscienza tu possa avvertire il peso morale di quanto hai fatto nei miei confronti, e della cattiveria usata nei confronti di una persona amica di cui conosci l’onestà”.
Anche l’ormai ex dottorando Pasquale Procacci ha replicato, con garbo e fermezza: “Gent.le Guglielmo Minervini, non la conosco personalmente, ma avverto profondo il bisogno di esprimerle alcune considerazioni.
Tra le vostre schermaglie politiche per le primarie e le indiscrezioni scandalistiche dei quotidiani, relativamente alle indagini sull’Università (cui sono estraneo), la mia vita, la mia (pur breve) storia, entra per la prima volta nel tritacarne mediatico.
Sono forte del fatto di essere arrivato pronto a questo momento.
Sono pronto perché, proprio per l’educazione ricevuta, ho avvertito sempre dentro di me l’esigenza di dimostrare a me stesso e agli altri l’autonomia e la meritevolezza dei risultati conseguiti.
Sono sempre stato consapevole del fatto che affrontare le sfide della vita quando hai il sostegno una famiglia unita e solida onerasse me di un impegno maggiore e mi privasse di alibi.
L’amore per la dignità che mi è stata trasmessa non mi avrebbe consentito di fare nulla in cui non mi sentissi all’altezza, nel rispetto dei colleghi e delle istituzioni.
Da parte mia è stato così per il corso di dottorato ed è così per la professione di avvocato che, oggi, svolgo con impegno e dedizione (spero che almeno questo mi sia consentito), avendo concluso da tempo il dottorato e non avendo alcun incarico accademico.
Lei è tanto sicuro che le mie prove non meritassero l’accesso al dottorato? Se non ha pregiudizi strumentali, sono pronto a consentirle l’accesso agli atti così potrà farle esaminare da tecnici della materia.
Come le dicevo, sono arrivato pronto e, di fronte a tentativi di sciacallaggio politico (i cui scopi sono facilmente immaginabili), incuranti delle ferite laceranti alle persone incolpevolmente coinvolte, dichiaro la incondizionata disponibilità a rimettere in discussione il mio titolo di dottorato se una qualsiasi commissione esterna di docenti della materia dovesse valutare le mie prove concorsuali non idonee al conseguimento della votazione ottenuta.
Voglio essere sincero con lei.
Nonostante il fango (quello sì immeritato) di cui oggi sono destinatario, sento dentro la forza della verità.
Aveva certamente ragione Aldo Moro quando diceva che “la verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi”.
Con queste parole, la saluto cordialmente, augurandomi per il bene di questa Regione che lo scontro politico (come lei spesso afferma) abbia al centro qualche contenuto sul futuro della nostra terra e non si concentri solo su indiscrezioni di stampa che inducono facili suggestioni, prive di qualsiasi riscontro reale, su persone non sottoposte ad indagini.
Ne trarremmo tutti vantaggi, innanzitutto morali ed etici“.