Siamo abituati a vederlo in ben altre vesti, come conduttore televisivo che elargisce consigli per la salute, come regista teatrale o direttore artistico di teatri. Un po’ meno a vederlo come un attore cinematografico, attività svolta dal ’73, anno della sua prima apparizione, non accreditata, in Baba Yaga, al ’92, quando uscì l’ultimo film in cui recitò (Non chiamarmi Omar).
Parliamo di Michele Mirabella. Certo, i più possono facilmente ricordarlo nei panni del ragionier Fonelli, nella saga di Fantozzi, prima vessato, poi vessatore dei colleghi e di Ugo in particolare, una volta salito di posizione nell’organigramma aziendale. Ha collaborato anche con grandi attori e registi come Pupi Avati, Carlo Verdone, Alberto Sordi, Massimo Troisi.
Ma non è di questo che, oggi, vogliamo parlare. Torneremo in seguito sulle altre esperienze di Mirabella. Ricordiamo, invece, la sua parentesi horror, con la sua partecipazione in “E tu vivrai nel terrore – L’aldilà”, film del 1981 del regista Lucio Fulci, uno dei maggiori rappresentanti dell’horror italiano, nonostante si sia cimentato in tanti altri generi, dal comico alla fantascienza, dal thriller al drammatico. “L’aldilà” (lo chiamiamo così per ragioni di comodità) è ricordato come il film più visionario del regista romano e, per gli amanti del genere è un vero e proprio cult, apprezzato tanto anche all’estero, anche da registi come Sam Raimi e Quentin Tarantino, che nel ‘89 restaurò la pellicola e la distribuì per la prima volta in versione integrale negli Stati Uniti d’America. Ha ricevuto omaggi in film, videogiochi e musica.
Il film, ambientato in Louisiana, narra le inquietanti vicende che si consumano attorno all’hotel Sette Porte, così chiamato perché costruito su una delle sette porte dell’inferno. Qui, molti anni prima degli eventi narrati, alcuni uomini del posto avevano massacrato e poi crocifisso un sinistro pittore, credendolo uno stregone. Quando la struttura viene rilevata dalla nuova proprietaria, intenzionata a riaprirla per riprendere l’attività ricettiva, inquietanti apparizioni e strani incidenti cominciano ad avvenire, lasciandosi dietro una scia di sangue e un alone di mistero.
Il nostro Mirabella, nel film, interpreta l’architetto Martin Avery, amico della protagonista, impegnato nell’aiutare quest’ultima con la ristrutturazione dell’immobile. Un ruolo non da protagonista, ma neanche secondario. Ed è proprio quando, sfogliando in una biblioteca le vecchie mappe catastali, scopre un’intera area nascosta che si estende nei sotterranei della struttura, che un fulmine lo spaventa, facendolo cadere dalla scala usata per raggiungere lo scaffale in cui era conservato il volume. La caduta lo paralizza, lasciandolo inerme davanti ad un branco di tarantole che lo assalgono e gli divorano il viso. Una scena per stomaci forti, dal momento che Fulci non era certo solito risparmiare allo spettatore sequenze cruente. Uno dei fotogrammi dell’orribile morte di Mirabella sarà poi riutilizzato, come omaggio nascosto, da Sam Raimi nel suo “Spider Man”, quando, prima di diventare il noto supereroe, il personaggio interpretato da Tobey Maguire viene morso dalla tarantola.
Il personaggio, poi, riapparirà poco più tardi, nel film, insieme a tutte le altre vittime, sottoforma di famelico zombie, mentre tenta di aggredire una ragazza cieca che era a conoscenza dell’oscuro mistero.
Non chiamatelo semplicemente horror, avverte Mirabella, secondo cui si tratta di una definizione moderna che nulla c’entra con i grandi film del mistero, come quelli legati al personaggio di Dracula o agli zombie, come il film “M – Il mostro di Düsseldorf” di Fritz Lang: «Io sono un artista dello spettacolo. All’epoca poi ero giovane. Ho fatto cinema, teatro, pubblicità. Ho fatto di tutto. E perché no? Anche horror. Li ha fatti anche Hitchcock. Tanti grandi registi si sono cimentati con quello che chiamano “horror”. Lucio Fulci è stato un grande regista e aveva una grande stima per me. Mi ascoltava sempre alla radio e io gli tenevo compagnia. Quindi mi volle conoscere, perchè pensò di darmi una parte nel suo film, lo fece, secondo me, per la curiosità di avere a che fare dal vivo con questa persona che aveva sentito sempre in radio. Poi nacque un’amicizia, perché lui era una persona intelligentissima. Una bellissima relazione di amicizia e complicità. Poi era un tipo molto divertente».
«Mi sono molto divertito a girare quel film – ricorda Mirabella – anche perché le parti più impegnative furono girate a Roma, ma io accettai anche perché erano previste scene girate a New Orleans. Io ero ansioso di visitare la Louisiana e gli Stati Uniti del sud. Passai venti giorni meravigliosi con gli amici della troupe, con gli attori. New Orleans fu una scoperta meravigliosa».
Lì, nella città statunitense, Mirabella girò la sequenza in cui appare come non morto: «Successivamente ho scoperto che, in quasi tutte le scene girate a New Orleans, avrei indossato una maschera da zombie. La mia presenza non serviva. Avrebbe potuto esserci benissimo una comparsa ad indossare la maschera. La mia presenza lì fu artisticamente marginale. Ma Lucio mi volle con sé e mi invitò nella città americana».
Mirabella smentisce anche quel che è riportato sul web, secondo cui si sarebbe sentito male nel girare la scena dei ragni: «Avevo paura, certamente. Ero in tensione. Ma non è assolutamente vero che mi sentii male. Sono chiacchiere. Sapevo esattamente come si girano i film. Lo conosco il mestiere. C’era una lastra di cristallo che proteggeva il mio corpo, foderato con fogli di giornale. Quindi quei poveri ragni, di cui solo due erano veri, non riuscivano neanche a camminare sul mio corpo. Ma era il mio lavoro, mi pagavano per farlo e mi piaceva».
«Mi sono divertito tantissimo» ribadisce l’attore, che ritornerà in un film horror, se pur in una piccolissima parte, in “Demoni 2” di Lamberto Bava. Mirabella, che ha preso parte in una trentina di film, ricorda volentieri anche le sue due esperienze con Pupi Avati, Troisi, Sordi, Verdone e quella che fu la sua parte più importante, nel film per la televisione “Il furto della Gioconda”: «Ma io non mi sono mai sentito attore di cinema. Facevo cinema per bisogno e per curiosità».
E, infatti, dopo il ’92, non ha girato più film: «Non mi interessava molto. Poi la popolarità enorme della televisione lo rendeva impraticabile. Avrei voluto lavorare con Manfredi, Gassman. Avevo sognato sin da ragazzo di girare un lungometraggio. Avevo anche due o tre soggetti bellissimi. Ma o devi essere ricco o talmente povero che non ti cambia la vita. Altrimenti come fai a vivere durante tutto l’iter che passa dalla stesura della sceneggiatura alla distribuzione di un film?».