La Procura di Bari ha chiesto sei condanne a pene comprese tra i 4 anni e 2 mesi e i 16 mesi di reclusione per altrettanti imputati nel processo sulle presunte omissioni sulle misure di sicurezza da parte di dirigenti e funzionari della Asl di Bari che avrebbero contribuito a causare la morte della psichiatra barese Paola Labriola, uccisa da un paziente il 4 settembre 2013 con 57 coltellate nel centro di salute mentale di via Tenente Casale, nel quartiere Libertà. Nella requisitoria finale del processo in corso dinanzi al Tribunale di Bari, il pm Baldo Pisani ha chiesto la condanna a 4 anni e 2 mesi per l’ex direttore generale della Asl, Domenico Colasanto, accusato dei reati di morte come conseguenza di altro delitto, omissione di atti d’ufficio e induzione indebita a dare o promettere utilità. La Procura ha chiesto ancora condanne a 1 anno e 8 mesi di reclusione per l’ex funzionario Alberto Gallo, per l’ex segretario di Colasanto, Antonio Ciocia, e per un altro dipendente Asl, Giorgio Saponaro, imputati in concorso con l’ex dg di induzione indebita per aver, Ciocia e Saponaro, “pressato con insistenza” Gallo nella predisposizione dei falsi Dvr (Documenti di valutazione dei rischi). Per falso materiale in atto pubblico altri due funzionari, Baldassarre Lucarelli e Pasquale Bianco, rischiano la condanna a 1 anno e 4 mesi. Per l’omicidio è già stato condannato in via definitiva a 30 anni di reclusione il 41enne Vincenzo Poliseno, che sta scontando la pena in carcere.
Cinque milioni e mezzo di euro è la cifra chiesta come risarcimento dai familiari di Paola Labriola, costituiti parte civile con gli avvocati Michele Laforgia e Paola Avitabile, dello studio Polis Avvocati. Le cifre maggiori a mo’ di risarcimento sono state chieste dal marito della psichiatra, Paolo Calabrese, dai figli Giorgia, Filippo e Ilaria e dall’ex marito Pasquale Arbore. Sono costituite anche la madre della vittima e la sorella. Per gli avvocati di parte civile, il luogo in cui Labriola lavorava era del tutto insicuro, perché i medici erano facilmente raggiungibili da pazienti affetti da patologie anche gravi e quindi esposti a pericoli reali. La Asl si è costituita come responsabile civile nel processo. Si torna in aula il 18 febbraio, per la discussione degli avvocati dell’azienda sanitaria e dei quattro imputati. Il 25 febbraio è prevista la sentenza.