Quella sera di tanti anni fa, il dottor Giacomo Pantaleo confessò ad amici
e conoscenti di non sentirsi affatto bene.
Probabilmente, avrebbe voluto
restare a letto, in una modesta casa che aveva preso in affitto a Mariotto,
dove era medico condotto da oltre vent’anni.
Ma la Laurea in Medicina, conseguita
nel 1923 presso l’Università di Roma (al prezzo di incredibili sacrifici,
possiamo immaginare), ai suoi occhi doveva essere molto più che un semplice pezzo
di carta straccia.
Era il sogno di una vita, una missione coraggiosa, che lo
vincolava ad anteporre la salute dei pazienti all’amore per sé stesso.
Così, quando
vide quel mariottano sopraggiungere in uno stato di grande ansietà,
chiedendogli di recarsi al capezzale di un suo parente ammalato, il dottor
Pantaleo non seppe dire di no. Afferrò la borsa e, tutto trafelato, si diresse verso
quell’abitazione poco lontano dal centro della frazione, per prestare soccorso
al signor Dresda.
Giunto nella casa, però, l’anziano medico si sentì venir meno
e chiese soccorso ai famigliari dell’infermo, che subito compresero la gravità
della situazione.
Persino l’ammalato si alzò dal letto e cedette gentilmente il
suo posto al dottore, che spirò per un infarto alcuni istanti dopo, lasciando a
Bitonto una moglie e sei figli.
Ancora oggi, di questo triste episodio, alcuni
anziani della frazione ricordano e raccontano un dettaglio (vero o verosimile?)
da cui trabocca infinita tenerezza.
Il dottor Pantaleo morì con alcune uova
nella tasca del suo cappotto, un piccolo omaggio che la famiglia Dresda aveva
voluto offrirgli in cambio della sua sollecitudine.
I funerali del
sessantenne Giacomo Pantaleo si tennero a Bitonto il giorno seguente, 10 marzo 1959, e il feretro fu accolto
da una folla numerosa e commossa.
La giusta ricompensa per una vita interamente
dedicata agli altri, con umiltà e senza riserve.