di Damiano Maggio e Angelo Palmieri
Parlare oggi di politiche educative significa osare uno sguardo che non si accontenta delle aule scolastiche. È uno sguardo che attraversa la città come fosse un corpo vivo: dai cortili ai marciapiedi, dalle biblioteche alle parrocchie, dalle palestre ai centri sociali, fino alle periferie troppo spesso lasciate in attesa.
Bitonto, in questo senso, è un crocevia emblematico: una città ricca di energie latenti e di esperienze che, se messe a sistema, potrebbero davvero cambiare il volto dell’educazione.
È il momento di guardare ai luoghi educativi non solo come spazi, ma come relazioni: tessuti di fiducia, ascolto e reciprocità.
Educare, oggi, non è solo insegnare. È custodire. È generare alleanze. È dare forma a un ecosistema dove il diritto a crescere bene non sia un colpo di fortuna, ma una responsabilità condivisa. È da questa consapevolezza che parte il nostro contributo congiunto: da sociologi, certo, ma prima ancora da cittadini coinvolti nella fibra viva delle comunità.
Il processo formativo, frequentemente evocato in riflessioni istituzionali dal tono elevato, rischia di restare confinato nell’astrazione. Ma non servono solo nuovi progetti per invertire la rotta: serve una visione collettiva, una regia comunitaria, un patto coraggioso tra istituzioni, famiglie, terzo settore, ragazzi e ragazze. Un’alleanza che non lasci indietro nessuno e non si limiti a “gestire” l’emergenza educativa, ma la trasformi in orizzonte.
Come ricordava Paulo Freire, «nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo: ci si educa a vicenda, mediati dal mondo». In questa prospettiva, la sfida è promuovere una pedagogia della reciprocità, capace di generare processi non calati dall’alto, ma radicati nel tessuto quotidiano dei territori. Una pedagogia che non abbia paura della complessità, e che sappia fare della partecipazione un principio attivo e non un’opzione decorativa.
Perché, come diceva anche John Dewey, «la democrazia deve essere rinata ad ogni generazione, e l’educazione è la levatrice». Senza partecipazione reale, ogni politica educativa rischia di restare una costruzione astratta, lontana dalle esigenze vive della comunità.
A Bitonto, questo significa scommettere – con realismo e passione – su una cultura della crescita diffusa e partecipata, che passi da luoghi concreti, azioni quotidiane, figure radicate nel territorio.
Alcuni ambiti da potenziare e rilanciare:
• Patti educativi di comunità, intesi non come formule burocratiche, ma come strumenti flessibili di coprogettazione locale;
• Presìdi educativi di prossimità, da attivare stabilmente nei quartieri più vulnerabili, dove l’assenza educativa genera solitudine e rassegnazione;
• Officine di cittadinanza attiva, veri laboratori intergenerazionali dove l’incontro tra storie diverse possa diventare apprendimento condiviso;
• Facilitatori comunitari, figure ponte tra scuola, famiglia e territorio, capaci di leggere i bisogni e attivare risposte agili e umane.
A Bitonto non si parte da zero. Buone pratiche già esistono e vanno riconosciute, rafforzate, coordinate. La responsabilità educativa non appartiene a una categoria o a un settore: è un gesto corale, un’intelligenza collettiva da allenare ogni giorno.
È il caso dell’attività preziosa della Fondazione Opera Santi Medici, che da anni rappresenta un presidio educativo e sociale, in grado di coniugare cura, spiritualità e formazione. Un luogo che testimonia come l’educazione possa fiorire quando incontra mani competenti, sguardi lunghi, cuori disposti all’ascolto.
Altro esempio virtuoso è Eughenia, percorso coraggioso che mette al centro i bisogni delle famiglie e dei minori attraverso una rete di servizi e spazi di ascolto, accompagnamento e partecipazione. Una realtà che lavora sul campo, accanto a chi rischia di rimanere invisibile, e che propone un modello educativo fatto di prossimità reale, sostegno concreto e capacità di tessere relazioni.
Così come meritano attenzione le esperienze che vedono parrocchie attente, insegnanti che vanno oltre il registro e volontari che riaprono luoghi abbandonati. Piccole scintille che mostrano che un’altra educazione è possibile, se sostenuta e riconosciuta.
Ma ogni vero rilancio esige qualcosa di semplice eppure rivoluzionario: ascolto autentico, partecipazione reale, coraggio politico. Non bastano gli slogan né i bandi scollegati da una visione di lungo periodo. Perché il compito educativo, per generare frutti veri, ha bisogno di corresponsabilità, continuità e impegno condiviso.
Bitonto ha bisogno di questo: di un’educazione che smetta di essere solo protocollo e iniziativa sulla carta, e torni ad essere respiro civile, chiamata collettiva, passione incarnata. Un’educazione che non si limiti a somministrare risposte, ma sia capace di generare domande nuove.
Che non s’accontenti di correggere il presente, ma sappia immaginare il domani. Dal basso, con mani intrecciate e sguardi lunghi. Perché solo insieme si può ricucire il tessuto vivo del futuro.