Un minuto per pensare. Se in una notte buia e fredda, ciascun familiare di ogni vittima di femminicidio scendesse nella piazza del paese o del quartiere in cui abita per dare fuoco ad uno solo degli indumenti o degli oggetti delle vittime, sono sicura che avremmo forse, purtroppo, una mappa infuocata dell’Italia che non risparmia nessuna regione. E io vorrei vederli questi fuochi. E bruciarvi sopra biglietti colmi di parole d’amore scritti da chi ha amato ciascuna di queste donne e che ancora sente nello stomaco la loro mancanza e il loro dolore.
Si accenderebbe lungo tutta la penisola un fuoco sacro, unico, lungo. Un fuoco carico di voci, da altri mondi, di vite che avrebbero voluto splendere. Invece siamo qui, oggi, a fare un minuto di silenzio, pesante, per ricordare Giulia. Una di 102 vittime donne ad oggi dall’ inizio di questo anno. Un minuto di silenzio.
Ma quanto dura un minuto? “Mi tira i capelli mentre cerco di scappare” – Un secondo – “Grido e soffoco mentre piango” – Un secondo – “I suoi occhi immersi nel mio sguardo di terrore”. Senza tempo. “Mi afferra la giacca. Sono a terra”. Tre secondi. “Cos’è questo dolore caldo nel fianco che sento?”. Quattro secondi. “Aiuto che male!”. Tre secondi. “Sto morendo, non ci credo”. Tre secondi. “Ero così triste con lui”. Due secondi. “Mio Dio che dolore. Perché?”. Due secondi. “Mamma, papà aiuto”. Un secondo. “E’ una lama. E’ il mio sangue. Ovunque”. Tre secondi. “Mi dispero. Piango. Strozzo un grido”. Lacrime mute. Il silenzio è infinito. “Sono fuori dal corpo. Sento il rumore dei vestiti fatti strisciare sul selciato. Vedo l’uomo che ho amato trascinare le mie gambe e le mie braccia morte. Vedo l’uomo che ho lasciato perché non mi sapeva amare continuare a profanare la mia esistenza mentre mi nasconde in un bagagliaio”. Sette minuti. “Vedo l’uomo che io ho amato e che non mi sapeva amare buttarmi come un sacco di immondizie in un posto dove nessuno mi deve trovare”.
Quanto dura un minuto? Un minuto di rumore per denunciare. “Ho gridato e nessuno mi ha potuta sentire. La mia voce è diventata rauca mentre imploravo di non morire. Ho pianto, corso, perso l’equilibrio, sgomitato, graffiato. Non è servito a niente”. Perché niente si può contro la furia del male. Niente si può contro la forza assassina di un essere senza madre e senza Dio. Non basta punire per un mondo che deve cambiare. E’ necessario ritornare alla relazione tra esseri viventi. Perché se la maggior parte dei femminicidi è per mano del partner il problema non è solo nella cultura ma soprattutto nell’affettività. Nella cura dell’anima che non c’è.
Nel tempo della quiete che è sparito dalla quotidianità. Bisogna ripensare alla VITA e di conseguenza rimodulare, anzi soppiantare, la comunicazione attuale giocata su parole e idee che producono stress e attivano paure, con una comunicazione capace di veicolare gentilezza e la bellezza che sta dentro e fuori dell’uomo. E’ obbligatorio riscrivere il codice di comportamento umano e civile e scegliere i valori cui ci si deve aggrappare quando il buio del rifiuto e dell’umanissima invidia assale. E in quel buio nero non dover vedere i migliaia di fuochi accesi per bruciare ciò che resta di chi abbiamo amato e perduto, ma poter guardare le stelle silenziose e pacifiche brillare.