Puntuale come ogni anno. Arriva la festa dei Santi Medici e, prima,
durante e dopo, ci si interroga sul senso del sacro, sul rito, sulle
manifestazioni della fede.
Ceri enormi, cera che cola, corpi segnati, piedi scalzi. Esiste questa
fede che, a dir di molti ingenuamente, si esprime con canti vetusti,
scenografie tragiche, martorianti prove e senso d’afflizione.
Oltre ai pellegrini, che pure agitano la processione
ragguardevolmente, colpisce la città, la nostra: Bitonto. Tralasciando per un
attimo il triste tema della presenza in omaggio a Cosma e Damiano di chi fa del
malaffare la propria regola di vita (argomento già da noi affrontato, che
richiederebbe un articolo a parte), ecco che esiste l’immagine della città.
E così, la Bitonto presa d’assalto da folle in cerca dell’ascolto
divino, si racconta attraverso la sua fallibilità umana, anche quando guarda al
sacro. Delle piccole considerazioni, dunque.
Gli è che la fede non è dei perfetti. La religiosità, quella, manco a
parlarne. E però l’occhio di Dio sa scrutare. Verrebbe da dire: sentiamoci
sempre in ricerca, senza condanne.
Un cero grande sa essere semplice e vero, persino profondo, se
sincero.
“Tu solo conosci la fede“, si diceva una volta, no? Quel che
dovrebbe interessare, in sede di eventuale impressione o giudizio, è la
sincerità dell’agire. Anche semplice, semplicissima, ingenua. A patto che sia schietta
e realmente sentita. I fan del razionalismo (presente, presentissimo nella
versione anche religioso-cattolico) discutono l’autenticità di certi gesti e di
certe modalità d’espressione dell’io recondito e della fede stessa. Ma chi
siamo noi per dire cosa sia autentico?
La chiave di tutto, ci piace ripeterlo, è la sincerità.
Un uomo può portare in processione il cero più grande del mondo, ma se
lo fa con aperto cuore, magari sarà un po’ eccepibile per tante cose (soldi
spesi, buon gusto, igiene), ma se solo in questa maniera riesce a comunicare la
sua ansia di sacro, ebbene, che male c’è? E’ il “suo” mondo. Che non
è il nostro.
Poi, ovviamente, tutti gli eccessi sono sempre censurabili,
soprattutto quando attentano all’integrità -anche fisica- degli altri e persino
della propria.
Ecco, abbiam saputo di cera rovente che quasi imbrattava (ustionava?) i
passanti, sfiorando anche una bambina. Ci permetteremmo, allora, di giudicare
più il lato “civico” della faccenda: queste persone andrebbero
“educate” molto più da quel punto di vista.
Per noi continua più ad uccidere la maleducazione civica che il
fanatismo singolo religioso.
Il sacro, persino se neo-pagano (vogliamo dirla forte), se vissuto
nella propria sfera di fede, non fa male a nessuno. Quantomeno non può il
nostro razionalismo permettersi di giudicare la fede semplice -espressa coi
relativi mezzi- di chi ha percorsi diversi dal nostro.
C’è, insomma, tanta autenticità anche in loro, anche in tanti
“semplici”. Ovviamente, non in tutti.
Non secondario il tema del frastuono e dei suoni come impazziti, tra
canti, musiche, vociar di gente.
Anche noi, per dire, tra Pietrelcina e San Giovanni Rotondo, preferiamo
di gran lunga la prima. Anzi, una pieve silenziosa in un’altura umbra. Però i
centri dalla grande partecipazione esistono, le ricorrenze pure e Bitonto ci
sta dentro coi Santi Medici, al di là di tutti i silenzi da contemplare.
Il business, dicono e reclamano altri. Altro problema, questo. Il
business che rischia di far perdere di vista la fede: fiera, offerte, economia
che gira e raggiunge, c’è da dire, anche la città “civile” tout court(bar, negozi straordinariamente aperti quel dì, ristoranti).
Tornando ai dubbi di tanti sulle manifestazioni particolarmente effervescenti
di qualcuno, noi non abbiamo la presunzione di saper guardare nei cuori degli
altri con l’ottica severa e, dunque, di giudicare anche eventuali sincerità. Ma
non sarà, al contrario di quel che si accennava, che la fede autentica è più
dei semplici (laddove sinceri, lo ripetiamo ancora) che non di chi, come noi,
s’arrovella e avviluppa attorno ai dubbi, ai giudizi, per non dire degli
snobismi?
C’è chiasso, l’abbiam detto. Vero. E non a caso è una festa. Noi però
non guardiamo a come è proposto il culto: guardiamo ai (nei) cuori. Con fiducia
e speranza cristiana, senza giudizio.
E se nel cuore di una persona, anche di una sola, lì, pur attorno alla
calca, c’è preghiera, c’è attesa, c’è un Dio mediato dai santi (dal loro
messaggio ed esempio: non dalle loro statue), ebbene, citando il caro papa
Francesco, “chi siamo noi per giudicare?“. Il fideismo è un male, il
miracolismo è un male: la fede semplice nel miracolo, teologicamente,
cristianamente, no.
Negativo, a parer nostro, quando ci si spinge, sino alle
generalizzazioni, nel giudizio sull’interiorità della fede e sul
“come” una persona vive il suo approccio alla fede stessa. E’ vero
che “lex orandi, lex credendi“, ma è vero anche che di decadimenti,
attualmente, ce ne sono tanti. E partono, semmai, dalla questione liturgica.
Pensiamo anche a come preghiamo nelle messe, ad esempio. Anche lì c’è spesso
baldoria, vanagloria dell’oretta di predica sociologica del sacerdote, un
ergersi dello stesso celebrante a protagonista (antropolatria diffusa dal
Concilio in poi: prima il sacerdote operava in silenzio, al centro c’era solo
Cristo), il tabernacolo quasi nascosto. E tanto altro. Ecco, anche in tutto ciò
noi facciamo fatica, spesso, a trovare Gesù. Tornando al tema di partenza, per
il puro di cuore, non c’è neo-paganesimo che tenga. Egli crede.
Il giudizio lasciamolo a chi presume di sapere tutto. “Ma sono
solo due statue!!“, disse non a caso quello che aveva appena baciato una
fotografia.