di Angelo Palmieri
Bitonto, città degli ulivi maestosi e della storia intrisa di fede, oggi sembra avvolta da un’eco sorda, come se le voci del passato avessero lasciato la scena senza eredi.
Un tempo, le piazze risuonavano di fervore autentico, di una tensione collettiva capace di intrecciare valori e azione pubblica. E invece, quel dinamismo appare oggi spezzato, disperso in un presente privo di respiro profondo.
Non è solo nostalgia, ma un interrogativo lacerante: che fine ha fatto l’impegno? Dove sono i volti e le mani che tracciavano percorsi radicati nel servizio, ispirati da ideali capaci di respirare insieme alla comunità?
Abbiamo vissuto stagioni in cui i movimenti cattolici, animati da slanci autentici, accendevano entusiasmi che sembravano destinati a durare. Tuttavia, troppo spesso quelle energie si spegnevano sul traguardo di una poltrona, soffocate dal peso di scelte opportunistiche o dall’ambizione personale.
Anche Bitonto ha espresso rappresentanti che, proiettati in campo nazionale ed europeo, portavano con sé la promessa di un futuro migliore. Al contrario, quelle esperienze, spesso significative nei contesti istituzionali, non hanno lasciato un’impronta duratura sulla realtà locale, rivelandosi perlopiù illusioni svanite.
Con il tramonto di quelle carriere, si apre ora una domanda cruciale: chi raccoglierà il testimone, trasformando le aspirazioni individuali in un impegno concreto per la città?
Bitonto oggi somiglia a un giardino abbandonato: gli alberi, un tempo rigogliosi, conservano radici profonde, ma i rami sono spogli, piegati dal vento dell’indifferenza. Le fontane, che un tempo danzavano al ritmo delle speranze collettive, giacciono inaridite, coperte da una coltre di polvere. Eppure, sotto quella cenere pulsa ancora il seme di un possibile risveglio. Chi avrà il coraggio di riportare vita a quelle radici e acqua a quelle fontane, ridando respiro alla partecipazione e al senso di appartenenza?
Non è solo questione di ruoli, ma di una visione. La crescente disaffezione dei cittadini, in particolare dei giovani, verso la gestione della cosa pubblica si riflette in un astensionismo che ormai tocca percentuali allarmanti. Questo non è un problema di numeri, ma il sintomo di un abisso che si è aperto tra la comunità e un sistema che ha smesso di ascoltare.
Dove sono i credenti – non solo di fede religiosa, ma di un’etica condivisa – che sapranno rompere il silenzio e risvegliare il senso di responsabilità? Probabilmente sono quelli che, come ricordava Dietrich Bonhoeffer, sanno che “non agire è già agire, non scegliere è già una scelta”. Forse sono coloro che comprendono che il futuro non si attende, ma si costruisce passo dopo passo, con la forza delle idee e il coraggio di immischiarsi.
È facile restare ai margini, indulgendo nel disimpegno mascherato da prudenza. Ma la nostra città non ha bisogno di spettatori: necessita di artigiani del cambiamento, di voci capaci di modellare il futuro con l’argilla dei valori, ridando parola a un presente afono. La gestione pubblica deve tornare a essere un atto di dono, non un insensato gioco di potere intrappolato nelle logiche spartitorie.
Bitonto, con la sua storia e la sua anima, non può restare prigioniera delle ombre del passato né piegarsi al peso di figure ormai spoglie di eco e verità. Chi avrà il coraggio di spezzare questa inoperosità, restituendo un’azione pubblica che ispiri e costruisca? La scelta è davanti a noi: agire o lasciare che il nulla ci consumi.
Come diceva Gramsci, “vivere significa prendere partito. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partecipe”.