Non ce l’ha fatta Michele Abbaticchio a diventare parlamentare europeo. Il suo progetto si è infranto contro la soglia di sbarramento del 4%, che ogni lista avrebbe dovuto superare per avere almeno un seggio. Se ci fosse riuscito, sarebbe il secondo bitontino a sedere tra i seggi di Bruxelles e Strasburgo. Il primo fu Giovanni Procacci, eletto nel ‘99 con “I Democratici”, per poi, dopo le dimissioni di Michele Santoro, tornare per un secondo mandato, prima di dimettersi e candidarsi, con successo, al Senato nel 2006.
Ma cosa è il Parlamento Europeo e perché votiamo per eleggere nostri deputati in una istituzione sovranazionale?
Riunitosi per la prima volta il 10 settembre 1952 è una delle più antiche istituzioni dell’odierna Unione Europea, anche se, a quei tempi era nota come Assemblea Comune della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), l’associazione tra stati europei nata col Trattato di Parigi del 18 aprile 1951, con l’obiettivo di mettere in comune le produzioni delle due materie prime tra i sei paesi coinvolti sei paesi: Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. E principalmente tra Francia e Germania, così da evitare che la disputa sulla gestione delle risorse non generasse lo scoppio di un’altra sanguinosa guerra mondiale.
Inizialmente era un’assemblea consultiva di 78 parlamentari nominati all’interno dei parlamenti nazionali, senza poteri legislativi. Il 19 marzo 1958, con i trattati di Roma dell’anno prima, nacque l’Assemblea parlamentare europea, sempre con sede a Strasburgo e con le stesse modalità di nomina dei suoi deputati, chiamati a rappresentare i popoli europei e ad esercitare, insieme al Consiglio dell’Unione Europea, la funzione legislativa. Per poter avere un parlamento votato dai cittadini europei, invece, fu necessario attendere il 20 settembre 1976, quando il Consiglio europeo decise di rendere il Parlamento europeo eleggibile a suffragio universale diretto. Non più dunque tramite i parlamentari nazionali. Le prime elezioni si tengono il 10 giugno 1979 e a Bitonto, votò l’85% degli aventi diritto, percentuale ben maggiore del 44% di domenica scorsa. Segno che, all’epoca, il ruolo dell’assemblea sovranazionale era più sentito, come più sentite erano anche le direttive dei partiti che spronavano a votare per i propri esponenti.
Oggi, invece, sono le stesse forze politiche a crederci poco, come si è visto dalle plance e dalle piazze semivuote, dalla campagna elettorale silenziosa. Non si è visto alcun clima da campagna elettorale, se non per qualche manifesto.
Per comprendere meglio il ruolo del Parlamento Europeo abbiamo consultato Giovanni Procacci, unico concittadino che ne è stato membro. Fu eletto nel ‘99 con “I Democratici”, per poi, dopo le dimissioni di Michele Santoro, tornare per un secondo mandato, prima di dimettersi e candidarsi, con successo, al Senato nel 2006.
«La percezione della scarsa incidenza del Parlamento Europeo è dovuta, in parte, al taglio provinciale dei media italiani, che ne trascurano l’operato – accusa – Basterebbe considerare quante cose si realizzano con i fondi europei, quante decisioni vengono prese in Europa. Nessuno se ne accorge. Persino la campagna elettorale per le europee viene vissuta sempre in una visione interna, mai europea dei problemi. Il Parlamento Europeo porta a pensare alle grandi questioni che riguardano il futuro dei popoli: ricerca, commercio mondiale, diritti umani, squilibri economici, legalità internazionale, ambiente».
Temi apparentemente lontani: «Quanta gente muore per l’ambiente ferito? Sembra che ambiente, legalità internazionale siano problemi che non toccano la nostra vita».
Per farsi capire meglio, ricorda l’approvazione delle regole sul commercio dell’olio d’oliva: «Quanti sanno che le regole commerciali sull’olio le abbiamo fatte io e l’onorevole Lavarra che eravamo nella commissione Agricoltura? Quanti conoscono gli sforzi per spostare le politiche di sostegno all’agricoltura dalla produzione al reddito, permettendo ai nostri contadini di mantenere la cosiddetta integrazione? Sono temi che ci toccano da vicino».
«Una parte delle responsabilità del distacco dell’opinione pubblica dall’Ue va attribuita alle istituzioni europee che, su molti temi, non coinvolgono i cittadini, perché ci sono regole che privilegiano le decisioni intergovernative e non quelle del Parlamento. L’Europa va cambiata in meglio, non demolita. Sarebbe come vivere in una casa poco confortevole e, più che cambiarla e abbellirla, demolirla andando a vivere per strada» aggiunge Procacci, che auspica che «si acceleri il passo verso gli Stati Uniti d’Europa con chi vuole esserci, anche con un’Europa a due velocità, per evitare l’aumento di disaffezione e di visioni sovraniste alimentate e sostenute soprattutto da Russia e Stati Uniti, che non hanno interesse a che l’Europa diventi una grande potenza, preferendo che i singoli stati siano loro vassalli. Abbiamo stati che stanno nell’Ue solo per le opportunità economiche ma determinati a limitarne l’integrazione politica».
Ma qual è il ricordo di quegli anni?
«Sono stati anni straordinari» ricorda, mostrando soddisfazione per l’allargamento ad est l’approvazione delle regole commerciali per i nostri prodotti, come vino, olio: «Il grande rammarico è stata la bocciatura della costituzione europea. Da quel momento c’è stata una regressione dell’Europa e del processo di integrazione. Anche per questo, nel 2006, ho accettato di candidarmi al Senato, lasciando un Parlamento Europeo che non era più in condizioni nemmeno di lottare per un’Unione più politicamente coesa».