Abbiamo parlato, negli appuntamenti precedenti, dei nostri concittadini che hanno raggiunto la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, che, insieme, sono l’espressione del potere legislativo, nel sistema parlamentare italiano. Potere che, insieme a quello giudiziario, ricoperto dalla magistratura e a quello esecutivo, ricoperto dal governo, concorrono alla divisione dei ruoli nella democrazia italiana.
In questa sede del potere giudiziario non ci interessa. Ci interessa, invece, quello esecutivo, il governo. In una repubblica parlamentare come è la nostra, dove l’attività legislativa è svolta prevalentemente dal Parlamento, al centro, almeno nelle intenzioni dei padri costituenti, dell’attività politica italiana. Nonostante sia quello che ha più visibilità, il presidente del Consiglio dei Ministri, cioè il capo del Governo, è solo al quarto posto, in ordine di importanza, tra le cariche dello Stato. Viene dopo il Presidente della Repubblica (capo dello Stato) e i presidenti delle due Camere. Il quinto è il presidente della Corte Costituzionale.
Non sede nel cinquecentesco Palazzo Chigi, il governo non è eletto dai cittadini, nonostante, sempre più spesso oggi si dica il contrario, essendo in voga una demagogia che fa del direttismo uno dei suoi punti forti. I cittadini eleggono i membri del Parlamento o, in caso di liste bloccate, come è nell’attuale legge elettorale, le forze politiche che, poi, dovranno mandare i loro candidati nelle due Camere del Parlamento, in base ai loro consensi, indicativi del numero di seggi spettanti.
La formazione del governo avviene in un momento successivo, dopo che è chiara la distribuzione dei seggi in Parlamento. Non sono gli elettori italiani, che si limitano a votare per il Parlamento, senza possibilità di influire, almeno direttamente, su governo e capo dello Stato. Sono i parlamentari ad eleggere il Presidente della Repubblica. Quest’ultimo nomina il presidente del Consiglio dei ministri dopo una serie di consultazioni tra le forze presenti in Parlamento e i presidenti delle due Camere. Scelto il capo del governo, tocca poi ai ministri, indicati da quest’ultimo, ma nominati dal presidente della Repubblica. Dopo la nomina, il governo fa il suo giuramento davanti al presidente della Repubblica ed entro dieci giorni dalla formazione si presenta nei due rami del Parlamento che gli devono concedere o meno la fiducia, necessaria per restare in carica. Ovviamente, più seggi avranno le forze politiche che sostengono il governo, più probabile è la fiducia.
Quindi, quando sentiamo qualcuno parlare di governi eletti dai cittadini, possiamo essere sicuri che ci sta dicendo fesserie.
Ma, torniamo a noi. Quali sono stati i concittadini che hanno avuto accesso a Palazzo Chigi? Rispetto a quelle di Camera e Senato, qui la lista è notevolmente più corta. Ad aver ricoperto il ruolo di ministro è solo Italo Giulio Caiati (Democrazia Cristiana), che oltre ad essere stato deputato nell’Assemblea Costituente e nella Camera dei Deputati, dal 24 giugno 1968 all’11 dicembre 1968 (II governo Leone) e dal 17 febbraio 1972 al 24 giugno 1972 (I governo Andreotti), fu titolare del dicastero per gli Interventi Straordinari per il Mezzogiorno.
Dal 26 giugno 1972 al 12 giugno 1973 (II governo Andreotti) fu ministro per i Problemi della Gioventù.
Non ci sono stati altri bitontini che hanno ricoperto il ruolo di ministro. Tantomeno ruoli istituzionalmente superiori. Ce ne sono stati, però, tra i sottosegretari, parte del governo, se pur in modo subordinato (hanno la funzione di coadiuvare il ministero di cui fanno parte e rappresentarlo nelle sedute parlamentari).
Il primo fu lo stesso Caiati, che prima di ottenere i dicasteri citati, fu sottosegretario dal 1957 al 1963: al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni nel governo Zoli (1957-1958), al Ministero della Marina Mercantile nel II governo Fanfani (1958-1959) e al Ministero della Difesa nel II Governo Segni (1959-1960) e nel terzo governo Fanfani (1960-1962).
Dopo di lui occorre citare, nonostante non sia bitontino di nascita, Gaetano Scamarcio, socialista, eletto senatore per ben tre volte nel collegio di Bitonto, dove è stato consigliere comunale e assessore alla Cultura e, possiamo dirlo, bitontino di adozione anche per l’essere stato coniugato con una concittadina. Fu sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia nei due governi Spadolini (1981-1982) e nel quinto governo Fanfani (1982-1983).
Ad accedere alla carica fu anche Arcangelo Lobianco (Democrazia Cristiana), sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura in quattro governi (dal ’73 al ’78 nei governi di Rumor, Moro e Andreotti).