Tra gli anni ’60 e ’70, manifestarono e protestarono diverse categorie. Dagli operai agli studenti. I lavoratori di molti settori occuparono le strade, le piazze per chiedere diritti e migliori condizioni di lavoro.
Non furono da meno, specialmente nelle campagne del Mezzogiorno, i braccianti agricoli, nonostante le loro sollevazioni non siano, se non in misura minore, legate alle ampie manifestazioni di cui abbiamo già avuto modo di parlare abbondantemente.
In un paese prettamente agricolo, in cui, però, l’agricoltura perdeva progressivamente il suo peso a vantaggio dell’industria, furono tante le manifestazioni, appoggiate dalla sinistra, indette dai braccianti per migliorare le proprie condizioni sui campi. Non certo per la prima volta. Lungo tutto il ‘900, infatti, soprattutto nelle zone a più alta intensità produttiva del Sud Italia, i lavoratori agricoli hanno protestato contro la disoccupazione, per l’imponibile di mano d’opera, l’aumento della paga e per ottenere i primi diritti assistenziali. A partire già dagli anni ’30, quando nel meridione tra il 1936 e il 1951 aumentò, tra i braccianti, l’unità di classe, in un periodo in cui, l’aumento della popolazione, privato dagli sbocchi forniti dalla possibilità di emigrare, diede vita ad una sempre maggiore disoccupazione, nel settore agricolo, ma, al tempo stesso, ad una sempre maggiore pressione da parte dei contadini, che iniziarono a lottare per l’imponibile di manodopera, la quota di lavoratori che l’imprenditore agricolo doveva assumere per alleviare la disoccupazione.
Un contesto che portò, anche nell’immediato dopoguerra, oltre che all’aumento delle lotte bracciantili, anche ad un esodo progressivo dalle campagne. Con il ripristino delle rotte migratorie e la diminuzione della manodopera specializzata, negli anni ’50, infatti, il tema principale delle rimostranze fu l’aumento del salario e dei diritti assistenziali. Una lotta non certo facile che, tuttavia, nel ’50, portò alla Riforma Agraria che, invocata dai partiti di sinistra, ebbe il risultato di trasformare braccianti sfruttati e sottopagati in piccoli imprenditori e di bonificare alcune zone. La riforma, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto, specie nelle regioni meridionali, permettere l’esproprio delle terre ai grandi latifondisti e la loro divisione e redistribuzione tra i braccianti agricoli. Ma il limite all’estensione, di contro, ridusse la dimensione delle aziende agricole che sorsero grazie alla nuova legge, limitando le possibilità di trasformarle in veicoli imprenditoriali avanzati. E fu anche per ovviare a questo limite che, in alcuni casi, sorsero forme di cooperazione tra le tante piccole aziende. Nacquero, infatti, cooperative agricole che, programmando le produzioni e centralizzando la vendita dei prodotti, diedero al settore agricolo quel carattere imprenditoriale venuto meno con la divisione delle terre.
Una prima svolta a favore dei lavoratori della campagna ci fu negli anni ’60, con la sottoscrizione dei primi regolari contratti collettivi di lavoro, a integrazione del contratto nazionale. Si ottennero, grazie ad essi, un notevole miglioramento dei livelli retributivi e molte conquiste. Fu, quello il periodo in cui le lotte sociali dei braccianti raggiunsero il loro punto più alto. Ed infatti basta sfogliare gli archivi dei giornali per avere notizie sulle numerosissime proteste organizzate dai braccianti, dai sindacati e dai pertiti di sinistra. Soprattutto le pagine di giornali di sinistra, che davano molto più risalto a queste manifestazioni. Come ad esempio l’Unità, che tra gli anni ’60 e i primi anni ’70, diede ampio spazio alla questione bracciantile nel Mezzogiorno, appoggiando le rivendicazioni contro gli agrari.
«Sciopero al 95, per cento a Bari e corteo di 15 mila braccianti ed edili, con comizio del segretario della CGIL Rinaldo Scheda; comizi e manifestazioni anche ad Andria, Barletta, Minervino, Bitonto e Spinazzola» riporta la prima pagina del 26 gennaio ’65, che, da notizia della “grande lotta dei braccianti”. Se nel motore di ricerca dell’archivio storico del giornale di sinistra, si scrive la parola “Bitonto”, la gran parte dei risultati che escono, nel periodo che va dagli anni ’60 ai primi anni ’70, riguarda proprio le lotte nel settore agricolo che coinvolsero anche i braccianti bitontini.
«Bitonto e, fra i [comuni] più vicini al capoluogo, quello che maggiormente risente delle scelte che sono state fatte a Bari, nel settore dello sviluppo economico e che subisce le conseguenze di un limitato sviluppo industriale, fuori del contesto reale dell’economia del retroterra barese. Al capoluogo, Bitonto guardava speranzosa, quando si cominciò a parlare non solo di zona di sviluppo industriale di Bari, ma di area in cui Bitonto entrava a far parte. Ma fu solo una illusione e quanti ci avevano sperato hanno avuto modo di ricredersi. Non avendo, quel tanto di sviluppo industriale dell’area di Bari, il minimo legame con il retroterra agricolo della provincia. La collocazione di Bitonto in essa è rimasto un fatto puramente simbolico» spiega un altro articolo, pubblicato il 31 maggio ’66, in occasione delle amministrative di quell’anno, e a firma di Italo Palasciano, che diede merito ai comunisti di portare l’argomento in campagna elettorale, criticando la Dc e i partiti di centrosinistra perché non ne parlavano.
Ancora il 29 giugno ’67 l’Unità, sempre attraverso la firma di Palasciano, riporta di altre manifestazioni e scioperi a Bari e provincia: «Le leghe delle tre organizzazioni bracciantili aperte e imbandierate fin da questa notte, centinaia di attivisti mobilitati per la riuscita della lotta, Decine di mobilitazioni di lavoratori della terra in corteo nei grandi e piccoli centri. Manifestazioni di piazza che hanno assunto un carattere di amplissima unità e un aspetto di massa che ha pochi precedenti. Questo il quadro che presenta la prima delle tre giornate di sciopero proclamate dalle organizzazioni bracciantili aderenti alla Cgil, Cisl e Uil per la riforma della previdenza e dell’assistenza e il rinnovo dei contratti. […] La posta in gioco è, quindi, d’importanza facilmente valutabile e investe gli interessi di tutto il nucleo familiare bracciantile e un settore non trascurabile dell’economia della regione. Per questo, nella prima giornata di lotta nelle campagne per rivendicazioni di così vitale interesse, abbiamo assistito a una mobilitazione di così grande ampiezza, a cortei come quelli che si sono stolti a Grumo, Monopoli e Alberobello con alla testa le bandiere e i dirigenti delle tre organizzazioni; a manifestazioni come quelle di Bitonto, Barletta, Corato. Gravina, Andria che hanno paralizzato questo grande centro e anche i piccoli. Una caratteristica, infatti, di questa lotta che ha avuto inizio oggi e si concluderà sabato, è data dalla partecipazione ad essa anche dei piccoli comuni, di solito non investiti dalle forme avanzate di protesta, delle stesse frazioni alle porte di Bari. La rivendicazione che pone la Federbraccianti riguarda anche, oltre al rinnovo dei contratti, la stipula del patto di colonia, quel patto che gli agrari si impegnarono a stipulare, di fronte al prefetto di Bari, la notte del 3 luglio 1963, dopo ben 12 giorni di sciopero, e che ora rifiutano categoricamente di stipulare».
Manifestazioni di protesta si susseguirono anche l’anno successivo, quando, nel mese di giugno, proprio Bitonto fu luogo di proteste contro la disoccupazione nel settore agricolo: «I disoccupati, numerosi, hanno manifestato sotto la sede del municipio. Il sindaco Dc (Pasquale Marrone, ndr) invece di ascoltare !e richieste dei lavoratori preferiva spostare la riunione della giunta, che si doveva tenere nella sede legittima che è quella comunale, a casa propria. Pare che l’unico modo che ha saputo trovare il sindaco Dc per far fronte alle legittime richieste dei lavoratori disoccupati sia stato quello di trasferirsi da Bitonto con la famiglia in un albergo di Bari. Il sindaco Dc ha detto che non intende trattare sotto la pressione della massa dei disoccupati».
Il giornale comunista denunciava il forte aumento della disoccupazione nelle campagne e lo additava anche alle politiche e ai regolamenti del Mercato Europeo Comune: «A Bitonto, i disoccupati hanno manifestato minacciosi davanti al Municipio: era da molto tempo che ciò non avveniva. Avviene ora. In piena stagione di lavori agricoli. per la concomitanza di crisi che colpiscono produzioni un tempo «sicure» (come l’olio di oliva) e produzioni nuove, come gli allevamenti drasticamente ridotti dalla siccità in molte zone del Mezzogiorno. Quello di Bitonto è un campanello di allarme per tutti. La disoccupazione aumenta nelle campagne e accresce contemporaneamente il suo peso sulle città».
Ancora nel luglio ’69, il quotidiano riporta il “duro scontro di classe in Puglia”, con scioperi e manifestazioni di braccianti tra Molfetta, Bitonto e Bari: «I braccianti chiedono, con questa lotta, non solo il miglioramento del loro tenore di vita e maggiore potere nelle aziende, ma anche un governo che affronti i problemi più generali dell’agricoltura e quelli della riforma agraria, delle rivendicazioni, delle trasformazioni. E ciò, in unità con i coloni e i contadini. […] È l’intero movimento bracciantile pugliese che sta affrontando un duro scontro di classe nelle campagne per migliori condizioni di vita e di lavoro e per più potere».
Le rivendicazioni proseguirono negli anni ’70 e coinvolsero non solo l’olivicoltura, ma anche la viticoltura. Bitonto fu, ancora una volta, tra i luoghi delle manifestazioni di protesta, che si susseguirono nei primi anni del decennio: «Braccianti, contadini, coloni, viticoltori, fittavoli hanno dato una ferma risposta, domenica, alla agraria pugliese e a quanti tentano di bloccare il cammino delle riforme. Forti manifestazioni si sono avute in diverse località della Puglia, con al centro i problemi più gravi che sono alla base della crisi che travaglia l’agricoltura, da quello del vino ai problemi del collocamento e dell’occupazione, a quello riguardante la colonia e il suo superamento, all’applicazione della nuova legge sul fitto. A Bitonto, in provincia di Bari, si è svolta una grande manifestazione di contadini sui problemi del fitto, degli investimenti pubblici della parificazione assistenziale, della trasformazione della colonia in affitto. Nel corso della manifestazione, che era indetta dal Pci, ha parlato il compagno on. Mario Giannini».
L’apice di queste le lotte sociali, da parte dei braccianti, avvenne negli anni Sessanta e portò importanti conquiste sociali dei lavoratori agricoli. A questa fase, tuttavia, seguì una fase calante, che coincise anche con il progressivo declino dell’agricoltura e del suo ruolo nell’economia nazionale. Un declino causato dalla crescita dell’industria che aveva caratterizzato il miracolo economico e dalla sempre maggiore espansione dei mercati internazionali, che rendeva difficile applicare quei diritti guadagnati. Una situazione che favorì la disoccupazione nelle campagne e l’esodo verso le città e verso l’estero, alimentando il fenomeno migratorio. Si crearono nuove masse rurali disoccupate, soggette a nuove dinamiche del mercato del lavoro. Trasformazioni che arrestarono quella fase positiva in cui i braccianti riuscirono ad ottenere importanti diritti e che furono alla base di proteste dettate proprio da quella delusione.