E se, d’improvviso, Michele Genovese in arte Piripicchio per scrollarsi di dosso barlettani, che tirano la manica destra, e baresi, che si aggrappano alla sinistra – un consiglio fraterno: non esagerate, la stoffa potrebbe cedere sdrucita essendo da copione – e donasse loro la sua mitica mossa e volasse via?
È successo che, in questi giorni, la città del Colosso tramite un giornale web ha lanciato una nuova disfida al capoluogo per contendersi, appunto, la “proprietà” di quell’omino coi baffetti prendingiro, la bombetta di ordinanza d’avanspettacolo ed un fiore sempre all’occhiello.
Si preannuncia uno scontro cruento. Ai primi appare assurdo che i secondi, dedicando all’irresistibile comico un libro ed un film, abbiano commesso reato di appropriazione indebita.
Premesso che un artista di strada eccelso quale fu Piripicchio appartiene alle stradine inondate dall’oro del sole, ai cieli struggenti e meravigliosi che lo contemplarono, ai sorrisi smemorati degli uomini che rientravano dalla quotidiana fatica dei campi, alla gioia inobliabile dei bimbi che in concitato nugolo lo seguivano adoranti, al gesto pudico delle donne che accoglievano segretamente ammiccanti l’ultimo lazzo prima di chiudere lo scuro della finestra, Piripicchio nella sua vita favolosa e randagia – pare che Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, duo siculo strapparisate, conobbe il nostro restandone affascinato – fu soprattutto bitontino.
Elesse, infatti, come sua dimora l’osteria ad un respiro dalla Cattedrale e lì, a fine giornata, consolava la sua maschera tristallegra con un buon bicchiere di rosso.
Perché Michele Genovese viveva delle risate della gente, non aveva bisogno di altro. E neppure di questa sterile contesa.
Piripicchio è patrimonio di tutti, soprattutto di quei bambini che lo rincorrevano festanti e che lo ricordano quasi aureolato di sogno…