La pagina di un giornale stropicciato, che il maestrale fa ondeggiare a più riprese.
E in bella vista, la storia di un bitontino, agli inizi del ‘900, che abbiamo voluto rispolverare e restituire ai nostri lettori.
Solo una doverosa precisazione, prima di incominciare a narrare: tra imparzialità o compartecipazione ai fatti abbiamo optato per la seconda ipotesi, abdicando al ruolo di giornalisti e vestendo per un momento i panni di cantastorie.
Semplicemente perché non è possibile restare indifferenti alle cicatrici del cuore di una donna.
Se un romanziere avesse conosciuto Vito Modugno, lo avrebbe reso protagonista di un’opera. Arrivista come Eugène de Rastignac e affabulatore come il Casanova di Schnitzler, questo nostro compaesano non ha avuto pietà per nessuno nel corso della sua vita avventurosa.
Figlio di agricoltori bitontini, decide giovanissimo di tentare il riscatto sociale attraverso la carriera militare. S’allontana dalla città natia a testa alta e probabilmente senza mai rivolgere un ultimo sguardo alla casa, agli affetti e agli uliveti della sua terra. A venticinque anni è all’Accademia di Modena e a Torino, infine raggiunge Pavia come tenente del Genio.
Ed è durante il soggiorno torinese che Vito s’innamora (ma è proprio così?) della povera Elettra, maestra onesta e poco avveduta. I due giovani fanno all’amore per anni, leniscono il dolore della distanza con lettere focose, si promettono fedeltà eterna. E poiché a quel tempo le donne credevano davvero all’eternità del sentimento di un uomo, la maestra si ritrova inconsapevolmente in un tranello.
Rimane incinta, Vito temporeggia facendosi assegnare un lavoro in Eritrea e lei attende il suo ritorno col piccolo in grembo, tra lacrime e sospiri. Poi un giorno torna davvero, lo scaltro ufficiale Modugno.
Ma non a Pavia dalla sua donna, bensì a Bitonto dove rimane abbagliato dalla bellezza di Vincenzina. Dunque, altro giro, altra corsa. Cancellando immediatamente dalla memoria del cuore i baci di Elettra, il bitontino convola a nozze con la signorina, nipote di un noto e ricco banchiere barese, Di Cagno.
Dunque, vissero felice e contenti? Macché, gli uomini che amano troppo se stessi e dimenticano gli altri finiscono col farsi portatori inconsapevoli di sventure. La giovane Vincenzina trascorre i suoi giorni da sposa segregata in una casa di Pavia.
È incinta e sul corpo affiorano i primi sintomi di una strana malattia, la sifilide, che ha contagiato dal marito e che ora ha infettato anche il feto. In tutto questo trambusto, Vito ancora una volta s’offre volontario per una missione in Cina, giacché è sempre meglio volare verso altri lidi e altri piaceri, piuttosto che accoccolarsi accanto a una moglie disperata.
Questa volta, però, il nostro compaesano torna: a Bitonto trova la piccola Maria, affetta da sifilide, e Vincenzina che s’è fatta sempre più disincantata e ha affidato a un diario i tormenti della sua giovinezza ferita. Poesie struggenti e versi puntuti come lame di un coltello, che profumano di nostalgia e disinganno. Ma, nella vita, la ruota della sventura gira e ogni tanto ricordarlo non farebbe male a nessuno.
I vertici dell’esercito iniziano a sospettare dell’ufficiale bitontino, arricchitosi fino all’inverosimile, e aprono un’inchiesta a suo carico. Su di lui incombono le accuse di rapina, furti e stupri consumati durante l’incarico a Pechino, mentre compiva eroiche gesta contro i ribelli boxers.
Curiosi di conoscere come “va a finire” per lui e per la sua famiglia?
Lei si consumò di solitudine e malattia in casa, nonostante cominciassero a circolare voci particolari sul suo conto in città
Lui, l’impavido aviatore, continuò a fare la bella vita.
Tutto questo fino al giorno in cui la donna non fu trovata col cranio fracassato da un proiettile esploso da una Mauser.
Si pensò ad un omicidio.
Il tenente fu sottoposto a processo in varie sedi (Firenze e Perugia, fra queste).
Nell’atto conclusivo, proprio a Bitonto, tra perizie balistiche e calligrafiche – perché vi era pure un messaggio d’addio della sventurata che faceva presagire ad una volontà suicida -dei dodici giudici sei si schierarono per l’ipotesi assassinio, gli altri sei per quella di suicidio.
E l’eroe di Cina Vito Modugno non fu condannato.