di Donato Rossiello, Nico Fano
Zio Chelino da sempre mostra un certo fiuto per gli affari. Si interessa e arrovella, cercando un po’ più in là qualche cosa da fare. Degli spiccioli da far lievitare. La tecnologia, però, non è il suo forte e ricorre spesso alla mandria chiassosa di nipoti per navigare nell’oceano tumultuoso denominato Internet. A destare attenzione emergono i recenti approfondimenti sull’insolito caso di un vicino Paese mediorientale…
Lo scorso 24 agosto la Türkiye Cumhuriyet Merkez Bankas? (la Banca centrale della Repubblica di Turchia) ha sorpreso mercati e analisti innalzando i propri tassi d’interesse dal 17,50% al 25%. Le previsioni davano un rialzo intorno al 20% circa. Un’azione risoluta ribadita con meno stupore nella riunione di settembre, in cui la TCMB aggiunge ulteriori 500 punti base al tasso (30%).
L’intento della governatrice Hafize Gaye Erkan consiste nell’arginare con piglio deciso e poco ortodosso l’inflazione galoppante. A ben vedere, i dati relativi al tasso di inflazione annuale evidenziano un incremento per il secondo mese consecutivo: 47,8% a luglio, 58,9% ad agosto; è da considerarsi il livello più alto da dicembre dell’anno precedente, principalmente a causa degli aumenti delle aliquote fiscali, nonché di quello dei prezzi nel comparto alimentare e del deprezzamento della lira turca. Alla luce degli aggiornamenti, i policy maker hanno adeguato le loro ultime proiezioni inflazionistiche, prevedendo un tasso del 65% per il 2023, del 33% per il 2024 e un ipotetico calo graduale al 15% entro il 2025.
Vi abbiamo accennato al processo di svalutazione della lira turca, esso sembra infatti rientrare tra i piani programmatici posti in essere dall’organismo economico insediato a giugno. E i titoli di Stato decennali turchi schizzati sopra il 25% toccano il livello record da marzo del 2022.
Una mossa audace ma che potrebbe anche ritorcersi contro il governo di Ankara nel medio/lungo termine. Basti pensare che i titoli di Stato con un tale rendimento si traducono nella realizzazione del doppio di capitale investito in soli 4 anni (da settembre 2023). Ovvero un’esondazione di denaro pubblico dalle casse, un potenziale collasso finanziario con l’enorme voragine di debito pubblico. In altri termini, il default.
Ci ritroviamo ad affrontare in salsa esotica, quindi, un tema già trattato nel nostro articolo dal titolo Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?, in cui provocatoriamente sfatavamo il mito della sicurezza ineluttabile dei titoli di Stato. La vicenda turca è esemplificativa in quanto appare evidente come i ritmi del rendimento al 25% siano davvero proibitivi e rischierebbero l’innesco del meccanismo noto e ridondante di acquisto e conseguente svendita di “junk bond” negli anni a seguire. Per gli investitori odierni l’accumulo di mosche nel pugno con un emittente insolvente sarebbe un’evenienza non così remota.