Questa mattina, il sole, dietro una coltre di nuvole tristi, esitava a donare i suoi raggi d’oro. Un vento gelido sferzava una città ancora sgomenta, avvolta in un silenzio di lutto. Sin da ieri sera, ai crocicchi facevano capannello persone anche sconosciute fra loro, tutte a chiedersi perché. Un dolore sordo, lacerante, assurdo. Quanti di noi avrebbero voluto essere lì, in quel tratto di strada lasciato colpevolmente senza spartitraffico tra le due carreggiate, proprio lì, fra ulivi attoniti, sirene lancinanti e lampeggianti impazziti, a districare quelle lamiere accartocciate per svellere via quelle anime giovanissime, cancellate per sempre in un amen. Sì, avremmo voluto prendere in braccio come fossero nostri figli Tommaso e Alessandro, nostre figlie Floriana e Lucrezia, e carezzarli con tutta la dolcezza che un cuore può sprigionare perché no, non esiste morire così, in uno schianto cieco e crudele. Dove sono finiti tutti i sogni, i sorrisi, le delusioni, le cazzate, le leggerezze e i pensieri profondi, persino quei momenti di solitudine quando pensi che nessuno ti possa capire, e l’amore dato e perduto, persino tradito, ma poi, via, tutti a divertirci perché anche questo è la vita, quando si è giovani, un viluppo atroce e bellissimo di mattie e meraviglie, tanto poi passa tutto. E invece, oggi, il cuore della città è spaccato dallo strazio infinito ed è ancora col fiato sospeso per chi sta lottando per restare qui a rallegrare l’esistenza di chi l’ama. E i genitori? A chi stringeranno più le mani e guardandoli negli occhi ricorderanno quando erano piccoli e birbi, a chi racconanderanno più di far presto che la sera chissà che può succedere, chi più custodiranno con mille attenzioni, se non un soffio di nulla, un pugno di ferite memorie? Consola saperli angeli nel cielo più bello lassù? Dentro un abisso di disperazione e pianto vagheranno, vittime di una inspiegabile, innaturale ingiustizia che tocca un padre o una madre quando vedono morire i propri figli…