Molti
concittadini mi hanno chiesto se la delibera che dovrà essere approvata in
Consiglio Comunale mercoledì 16/04/14 avente ad oggetto: variante all’art. 23
delle N. T. A. del P.R.G. sia conforme o meno ai dettami normativi vigenti.
Premessa
di carattere Generale
I
vincoli urbanistici sono distinti in due categorie: 1) vincoli conformativi 2)
vincoli espropriativi.
I
vincoli espropriativi, a loro volta, vengono distinti in 1) vincoli preordinati
all’esproprio 2) vincoli sostanzialmente espropriativi.
I
vincoli conformativi fanno parte della natura stessa del bene, il quale deve
considerarsi naturaliter inedificabile.
Per
tale ragione essi non decadono e non sono suscettibili di indennizzo.
I
vincoli preordinati all’esproprio e i vincoli sostanzialmente espropriativi
sono vincoli “innaturali”, apposti con decisione amministrativa su di un bene
altrimenti non edificabile.
Sia
i vincoli conformativi che i vincoli espropriativi sono adottati ed approvati
dai Consigli Comunali e confermati dalle Giunte Regionali. Ogni modifica
importa variante al P.R.G. da adottare con esclusivo provvedimento di
Consiglio.
I
vincoli espropriativi durano 5 anni e poi decadono. In caso di reiterazione dei
vincoli espropriativi è dovuto un indennizzo.
La
giurisprudenza sui vincoli urbanistici ha dato vita a diversi – e talora non
conciliabili – orientamenti.
E’
stata la Corte Costituzionale, con sentenza n. 179/1999, a soffermarsi
sull’individuazione dei vincoli medesimi, offrendo, secondo la definizione data
in dottrina, un vero e proprio “decalogo dei vincoli”.
In
primo luogo, una volta accertata la non sussistenza di un vincolo espropriativo
se ne renderà necessaria l’imposizione, ai fini della realizzazione dell’opera
pubblica.
Sono
individuati dal comma 1 dell’art. 9 DPR 327/2001 due atti idonei
all’imposizione del vincolo: l’atto di approvazione del piano urbanistico
generale ovvero una sua variante.
La
distinzione tra le diverse tipologie di vincolo assume rilevanza anche ai fini
della decadenza: solo i vincoli espropriativi e non anche i vincoli
conformativi sono, infatti, soggetti a decadenza.
Il
vincolo preordinato all’esproprio ha la durata di cinque anni. Entro tale
termine, può essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di
pubblica utilità dell’opera.
La
decadenza del vincolo espropriativo o sostanzialmente espropriativo determina
una serie di effetti.
In
particolare l’area su cui era posizionato il vincolo “decaduto” rimane
sottoposto alla normativa prevista per i comuni sprovvisti di piano regolatore
generale.
Si
tratta della normativa di salvaguardia prevista per la c.d. “zona bianca”,
caratterizzata da indici di edificabilità assai ridotti. Tale disciplina ha
carattere provvisorio, con conseguente obbligo per il Comune di procedere alla
ripianificazione del terreno rimasto privo di disciplina urbanistica. L’inerzia
del Comune apre le porte alla nomina di un commissario ad acta.
L’obbligo
di ripianificazione, azionabile con il meccanismo del silenzio – rifiuto, non
preclude all’Amministrazione di poter reiterare il vincolo. L’obbligo di
ripianificazione riguarda infatti l’an e non si estende al quomodo.
La
reiterazione dei vincoli espropriativi presuppone la sussistenza di determinate
condizioni:
-adozione
di idoneo provvedimento;
-valutazione
delle esigenze di soddisfacimento degli standard;
-motivazione
del provvedimento;
-corresponsione
da parte della Autorità di una indennità commisurata al danno effettivamente
prodotto.
È
costituzionalmente illegittima la normativa regionale che preveda la
reiterazione o la proroga dei vincoli urbanistici scaduti su aree destinate
all’espropriazione senza la previsione della durata e di un indennizzo diretto
al ristoro del pregiudizio causato dal protrarsi della durata.
Con
sentenza 30 gennaio 2012, n. 142 il T.A.R. di Torino chiarisce l’importante
differenza tra vincoli urbanistici e vincoli urbanistici conformativi.
Sono
vincoli conformativi quei “vincoli inquadrabili nella zonizzazione dell’intero
territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su una generalità di
beni nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione
della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono ed in ragione delle
caratteristiche estrinseche ed intrinseche o del rapporto per lo più spaziale
con un’opera pubblica”; sono, viceversa, espropriativi “i vincoli incidenti su
beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma
della localizzazione di un’opera pubblica, localizzazione che non può
coesistere con la proprietà privata”.
La
scadenza del vincolo di P.R.G. di valenza quinquennale e preordinato alla destinazione
di alcune aree ad insediamenti di interesse collettivo, comporta che l’area
interessata debba intendersi sottoposta all’applicazione del regime proprio
delle zone bianche.
Tale
norma, nello specifico, consente fuori dal perimetro dei centri abitati, gli
interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubiper metro quadro e, in caso di interventi a destinazione produttiva, la
copertura della superficie fino a un decimo dell’area di proprietà salvi limiti
più restrittivi fissati dalle leggi regionali sono altresì consentiti gli
interventi di ristrutturazione edilizia.
Pertanto,
nelle c.d. zone bianche è legittimo un intervento di ristrutturazione e di
trasformazione degli organismi edilizi.
Il
decorso infruttuoso del quinquennio comporta l’immediata cessazione
dell’efficacia dei vincoli urbanistici, non semplicemente della loro
esecutorietà, bensì della loro stessa esistenza quale previsione urbanistica,
con la conseguenza della necessaria riespansione delle ordinarie facoltà
dominicali di utilizzazione del bene da parte del titolare.
È
incontrovertibile che i limiti di edificabilità riconducibili alle zone bianche
hanno per loro natura carattere provvisorio. Ed è preciso obbligo
dell’amministrazione di colmare al più presto ogni lacuna verificatasi
nell’ambito della pianificazione urbanistica dettando per tali zone una nuova
disciplina urbanistica.
In
definitiva, ove sia venuta meno la pianificazione attuativa e ove
l’amministrazione comunale non abbia provveduto in tempi brevi a colmare la
lacuna verificatasi, il cittadino e gli uffici tecnici, per individuare i
limiti della vigente disciplina di uso del territorio, dovranno fare
riferimento agli strumenti urbanistici generali, come se mai avesse operato
alcun vincolo.
Per
le precedenti argomentazioni, il proprietario di immobile in zona con vincolo
pacificamente decaduto da un considerevole lasso di tempo ha diritto al
rilascio della concessione edilizia secondo i generali criteri dettati dalle
leggi urbanistiche come se il vincolo non fosse mai esistito.
Fattispecie
concreta
Nel
caso di specie il P.R.G. del Comune di Bitonto fu approvato con delibera G.R.
n. 866 del 22/02/1980 e la variante con delibera G.R. n. 1015 del 15/7/2005 e
con la variante furono riquadrati gli standard e reistituiti i vincoli già
fissati nel 1980.
L’art.
23 riguardava le zone “F” ossia zone destinate ad attrezzature ed impianti di
interesse generale, nonché agli standard di cui al D.M. 2/4/68 n. 1444 così
specificato: 1) asili nido, scuole materne, scuole dell’obbligo, attrezzature
culturali e religiosa etc. 2) verde pubblico, spazi pubblici attrezzati a parco
per il gioco e lo sport etc; 3) parco urbano con attrezzature ricreative; 4)
parco urbano con attrezzature sportive a livello comprensoriale; 5) scuole
superiori, attrezzature sanitarie, assistenziali, pubblici uffici etc; 6) area
cimiteriale.
La
realizzazione di tali attrezzature e servizi era stata affidata dal Comune di
Bitonto alla esclusiva competenza della P. A. la quale aveva però la facoltà
(potere) di concedere ai privati in diritto di superficie i suoli al fine di
consentire a tali soggetti la realizzazione di ridette attrezzature.
Tanto
era previsto al punto d) dello stesso articolo 23. Da quanto detto, quindi, si
evince che il vincolo delle dette zone “F” adottato dal Comune di Bitonto è di
tipo espropriativo vuoi perché il potere di realizzare le attrezzature era
concesso solo alla P.A., vuoi perché alla stessa P. A. era riconosciuta la
facoltà di concedere al privato le attrezzature con la concessione del diritto
di superficie. Tale diritto di superficie presuppone la procedura ablativa (espropriazione)
dell’area con riserva del diritto di proprietà alla P. A. (per procedere al
trasferimento del diritto di superficie ai privati).
Orbene,
il detto vincolo è scaduto nel Luglio 2005 e non è stato più rinnovato prima
della scadenza con la conseguenza che le zone “F” devono essere considerate
zone bianche di cui alla premessa con un indice di fabbricabilità estremamente
ridotto. Questo nuovo inquadramento provocato ex lege impedisce di adottare la
variante all’art. 23 così come proposto dalla delibera che sarà presentata in
Consiglio Comunale atteso che diversamente opinando si approverebbe un
provvedimento illegittimo, contra legem se non illecito.
Allora
cosa fare?
La
P. A. deve riconformare le zone “F” in quanto ormai diventate zone bianche,
verificare ed eventualmente ridefinire gli standard urbanistici in funzione
della potestà edificatoria residua del P.R.G. e quindi dare una normativa
simile a quella adottata dal Comune di Bitonto con delibera 111 del 17/10/2011.
Indubbiamente,
l’iniziativa dell’amministrazione bitontina è lodevole e degna di attenzione ma
purtroppo il provvedimento che si vuole adottare a mezzo di un procedimento
amministrativo errato è illegittimo e la sua adozione potrà comportare
pentimenti non satisfattivi. Sotto il profilo politico e non giuridico, invece,
si andrebbe ad operare un distinguo ed un trattamento diverso tra i cittadini
atteso che i proprietari di terreni in zona “F” sarebbero trattati come figli
mentre gli altri in altre zone che pur hanno pagato l’ICI e l’IMU trattati come
figliastri.
Per
evitare questa sperequazione l’attuale amministrazione dovrebbe provvedere
subito all’adeguamento del P.R.G. al P.U.T.T eliminando le zone “bianche”
introducendo se del caso come variante anche il vincolo conformativo nelle zone
“F” per rendere un servizio utile e giusto a tutta la collettività, per indi
iniziare a studiare il P.U.G. e rilanciare l’economia bitontina.
Insistere
invece nell’approvazione della delibera così come confezionata significherebbe
dare la stura a tanti contenziosi visto che la legge faculta tutti coloro che
hanno un interesse ad adire l’Autorità giudiziaria.