DI VINCENZO ABBATANTUONO
Tra le strade della mia infanzia con mio padre.
Lo spiazzo di “callaraun” dove c’era la “baracca” di Pasquale che vendeva la gazzosa e le caramelle a ciondolo (chissà come si chiamavano), via Michele Santoro che pullulava di botteghe, quella di mio padre falegname e di Vincenzo il tappezziere, ora occupata dallo stagnaro, il deposito di formaggi di Tonino che ci regalava pezzetti di puzzolentissimo e succulentissimo pecorino, il forno di compare Antonio che mi mandava a comprare cinque pacchetti di Alfa senza filtro e di sua moglie Teresina nel cui sottano guardammo tutte le partite del mondiale in Argentina del 1978, il vetraio all’angolo.
Ora è quasi un deserto, l’ospedale ridotto ad ambulatorio da politici imbelli di tutti gli orientamenti ideologici e l’assenza di ricambio generazionale tra gli artigiani hanno cancellato una storia quasi centenaria di piccole imprese artigianali.
Nel naso ancora il profumo della focaccia con la mortadella del panificio barese, tra le mani l’invidiato monopattino che mi costruiva papà, la bottiglietta della gazzosa in mano, le figurine Panini, il gioco delle cinque pietre e quello delle palline.
Un’infanzia felice, semplice, la maglietta di Bettega e il sogno di diventare grande in fretta…