“Non so dov’è finito mio marito, sappiamo solo che è stato portato via su un pullman”.
È il grido di dolore e disperazione della moglie di un detenuto bitontino che è stato trasportato dalla Polizia Penitenziaria dal carcere di Melfi (Potenza). Assieme a lui, anche altri due detenuti della nostra città, tutti della sezione “alta sicurezza” che hanno partecipato il 9 marzo scorso alla rivolta per le norme stringenti arrivate dal Governo che annullavano le visite con i familiari, per ridurre il numero di contagi da Coronavirus.
Durante la rivolta furono presi in ostaggio nove persone fra agenti di custodia e personale sanitario: anche dopo aver rilasciato gli ostaggi, non erano rientrati in cella e la situazione di tensione era rimasta alta, tanto che sembrerebbe ci sia stato anche qualche scontro fisico. “Altri detenuti hanno raccontato alle loro mogli, che alcuni dei nostri mariti sono stati presi a manganellate e sono stati persino ricoverati in diversi ospedali della Sicilia – continua la donna -. Il fatto che si siano ribellati, non significa che debbano essere massacrati di botte: ci sono le punizioni istituzionali per i loro errori”.
Così, ieri mattina all’alba circa 200 uomini della Polizia penitenziaria, scortati dalla Polizia di Stato hanno trasferito 70 detenuti in altri istituti di pena d’Italia. Ma al momento ancora nessuna notizia: “Vogliamo sapere solo dove sono, almeno per sapere se stanno bene”.