Ieri
pomeriggio, mentre un sole primaverile, insolito e prematuro, faceva capolino dietro
il campanile, un fiume di gente ha invaso la chiesa di Mariotto.
Un saluto o
anche solo un pensiero per Anna Caputo, donna di appena trent’anni, è stato avvertito dalla cittadinanza come un
gesto sofferto e necessario.
Dal momento
in cui s’è diffusa la notizia del tragico incidente -il sinistro, lo
ricordiamo, si è verificato domenica sera sulla strada che collega Palombaio a
Terlizzi- il paese è sembrato ammantato da un alone di silenzio, come una madre
che accoglie con estrema dignità un dolore che le trafigge il cuore.
Poche (per
fortuna) sono state le ciance, tanta l’incredulità per un fiore strappato via da un destino crudele così presto.
Ragazza bella, solare e lavoratrice: è stato questo il
ritratto che amici e colleghi hanno dipinto di lei in questi giorni di dolore;
e ieri, tutti in Chiesa sotto lo sguardo sofferente dell’Addolorata, per
mostrare ancora una volta ad Anna un affetto sincero e senza tempo.
“Non sia turbato il vostro
cuore. Queste parole del Vangelo vogliono addolcire un momento di sofferenza e
distacco, in cui possiamo dire che anche Cristo piange con noi”,
ha risuonato così l’omelia di don Emanuele Spano dinanzi ai presenti.
Difatti,
nonostante l’immenso dolore del momento, traboccanti di dolcezza e speranza
sono state le parole del brano di Giovanni: “Io
vado a prepararvi un posto, quando tornerò vi prenderò con me, perché dove sono
io siate anche voi!”
“Sono andato a prepararvi
un posto ci dice il Cristo. Questo esprime tutto l’amore di cui Egli è capace”,
ha continuato il parroco, “ecco, noi
vogliamo pensare ad Anna proprio così, perché ci fidiamo delle parole di Gesù:
vogliamo pensarla accanto a Lui, amata e oserei dire quasi coccolata tra le sue
braccia”.
All’uscita
del feretro, incontenibile è stata la voglia di lasciarsi andare a un applauso caloroso,
mentre alcuni palloncini bianchi sono stati lanciati verso il cielo, liberi
finalmente di volare sempre più in alto.
Alcuni di essi sono rimasti impigliati
in un filo della corrente elettrica e si sono fermati lì, oscillando al soffio
del vento.
Forse, non tutto di noi viaggia verso un “altrove” sconosciuto, ma c’è qualcosa che
rimane qui per sempre.