Poliedricità. È la parola più attagliante se provassimo a descrivere Giuseppe Di Matteo, 39enne giornalista barese che vanta esperienze sia televisive che sulla carta stampata ma anche nel mondo dell’editoria. Giuseppe Di Matteo, dunque, è poliedrico perché oltre ad avere una penna sopraffina con cui, e con più libri, ha raccontato e descritto la precarietà della società che ci circonda, con “Il 1799 in terra di Bari” (Adda editore) cambia completamente genere, gettandosi nella storia, nella ricerca, nei documenti, ma con la stessa brillantezza con cui si è fatto conoscere e apprezzare.
Il volume, che rientra nella serie di incontri settimanali e tutti di venerdì (non a caso la rassegna si chiama “Di venerdì”) organizzati dal Centro Ricerche, ha diversi meriti. Il primo è quello di farci entrare, a 223 anni di distanza, in quella che è stata una delle pagine più burrascose e drammatiche del Mezzogiorno e cioè la Repubblica partenopea, quella esperienza patriottica con tanto di “complicità” d’oltralpe nel bel mezzo di un Paese, l’Italia, appunto, e poi l’Europa, che stavano conoscendo i primi fuochi della breve era napoleonica, terminata nel 1814 con il congresso di Vienna.
Ma ci fa entrare non da Napoli, bensì dalla Puglia, dalla terra di Bari dove, a fronte di un regime trapiantato ex novo, si consuma un duro scontro politico tra i sostenitori della Repubblica e i detrattori, e quindi abbiamo Bari, Altamura (“la leonessa di Puglia”) e Acquaviva che hanno aderito alla Rivoluzione, Castellana e Noci fedeli alla monarchia, Trani – all’epoca il capoluogo della provincia barese – dove la rivoluzione è stata soffocata.
Il secondo è quello di sottolineare come quella del 1799 è stata sì una rivoluzione imposta con armi straniere ma non completamente passiva, tanto più che quel che siamo noi oggi deriva da lì, da quegli ideali che furono alla base di quella rivoluzione, perché fu un momento di grande fermento intellettuale. Era il momento, tanto per intenderci, in cui si cominciava a parlare di supremazia dello Stato sulla Chiesa, ad esempio. E Di Matteo non solo racconta tutto con le carte ma, proprio grazie a queste, mette in risalto non pochi personaggi grotteschi (tanti Masaniello, per intenderci), capi popolo che da una parte e dall’altra prendono il potere e non hanno poi intenzione di cederlo, quando il fuoco della rivoluzione si spegne.
Infine, ma non per ultimo, c’è la grande capacità dell’autore di entrare nei fatti e di analizzare per bene periodo, cause e perché di quella indimenticabile pagina di storia.