«Non avendo adunque più modo a dover fare della giovane cavalla, per le parole che dette avea compar Pietro, ella dolente e malinconosa si rivestì, e compar Pietro con uno asino, come usato era, attese a fare il suo mestiere antico, e con donno Gianni insieme n’andò alla fiera di Bitonto, né mai più di tal servigio il richiese».
Le parole qui riportate sono di Giovanni Boccaccio. Fanno parte della novella decima della Giornata nona della sua opera più famosa, il Decameron. E la fiera di Bitonto altro non è che la Fiera di San Leone. Lo scrittore toscano componeva la sua opera nel XIV secolo, probabilmente tra il 1349 e il 1353.
Quella che si svolge oggi, dunque, è una fiera antichissima, tra le più antiche d’Italia, e affonda le proprie radici nell’XI o nel XII secolo. È del 1197 il primo documento che attesta l’esistenza dell’appuntamento annuale, riportando l’abitudine dei monaci benedettini ad organizzarla. All’epoca del Boccaccio, dunque, vantava già almeno due secoli di vita. In origine durava sette giorni ed era un’importante fiera di animali. Era organizzata per celebrare San Leone Magno, il 45º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica, santificato, che a quei tempi era celebrato l’11 aprile. Fino al XX secolo, al 1971 per la precisione, da quando la giornata dedicata al suo culto viene spostata al 10 novembre.
La fiera era così importante che, specialmente nel periodo aragonese (1442-1495), il giorno dell’inaugurazione, per le strade, sfilava un corteo a cui partecipavano nobili, dame, clero, armigeri. Alla sua testa veniva portato il gonfalone cittadino e le insegne reali. Era accompagnato da trombe e tamburi. Partiva dall’abbazia di San Leone, eretta probabilmente nell’XI dai normanni, e finiva nella zona della fiera, dove i monaci e l’abate accoglievano i dignitari. Dopo il rito della benedizione la fiera era aperta al pubblico, composto da commercianti, contadini, pastori, massaie, viaggiatori, artisti. I commercianti non erano solo bitontini, ma arrivavano anche da Milano, Firenze, Venezia e persino dall’altra sponda dell’Adriatico. Arrivavano qui per vendere bestiame, tessuti di seta, di lana, panni, attrezzi agricoli, oreficeria e ferramenta.
Con il tempo divenne un appuntamento talmente sentito che neanche l’abolizione degli ordini religiosi voluta nel 1807 da Gioacchino Murat riuscì ad impedire il suo svolgimento, che proseguì, ma non fu più organizzata dai benedettini, passando sotto giurisdizione comunale.
Ma nel tempo la sua importanza è stata notevolmente ridimensionata. Dal XVII secolo la diminuzione dell’influenza veneziana portò ad un primo declino. Venezia, infatti, era un interlocutore importantissimo per il commercio pugliese. Complice anche il passaggio in mano comunale voluto da Murat, il declino proseguì nei secoli. I mercanti cominciarono a preferire fiere più importanti, riducendo ulteriormente la rilevanza che l’evento ricopriva ai tempi del Boccaccio.
Ma nonostante tutto, la fiera è ancora lì, ogni anno, a testimoniare l’importante storia di cui è protagonista.