La celebrazione odierna, Domenica delle Palme e della Passione
del Signore, rappresenta il portale d’ingresso nella grande Settimana Santa,
nella quale facciamo memoria del culmine della vicenda terrena di Gesù, il
Cristo Signore. Grande perché, come affermava il Crisostomo, “in essa si sono
verificati per noi beni infallibili: si è conclusa la lunga guerra, è stata
estinta la morte, cancellata la maledizione, rimossa ogni barriera, soppressa
la schiavitù del peccato. In essa il Dio della pace ha pacificato ogni cosa,
sia in cielo che in terra”.
La benedizione delle Palme e la processione che segue evocano
l’ingresso in Gerusalemme di Gesù acclamato dalla folla che gli va incontro
festosa. Il cardinale Carlo Maria Martini scriveva che “forse la processione
appare un po’ povera rispetto a ciò che dovrebbe rievocare. L’importante,
tuttavia, non è prendere in mano le palme e gli ulivi e compiere qualche passo,
ma esprimere la volontà di iniziare un cammino”.
Vale la pena, dunque, rispondere alla domanda che è anche un invito
per ciascuno di noi: “vuoi entrare con Gesù a Gerusalemme fino al
calvario? Vuoi vedere dove finiscono i passi del tuo Dio, vuoi essere con Lui
laddove Lui è?”.
Solo così sarà Pasqua.
La liturgia di oggi sembra essere divisa in due momenti:
benedizione delle palme-processione e liturgia della Parola nella celebrazione
eucaristica. Entrambi sono significativi in quanto richiamano il fondamento
della nostra fede cristiana: passione, morte, risurrezione di nostro Signore
Gesù Cristo. Non si tratta di due momenti separati, come il diverso
carattere celebrativo potrebbe suggerire, perché entrambi sono inseriti nella
storia di salvezza, che si sviluppa nel tempo e che anche per noi, oggi, si
attua.
Questa è la didattica di Dio.
La Parola del Vangelo proclamata dopo la benedizione dei
rami presenta una folla gioiosa che inneggia dicendo “Osanna al
figlio di Davide!”. Subito dopo, nel racconto della Passione, la folla, in gran
parte la stessa, urla a gran voce: “Crocifiggilo!”. Per definire una ragione plausibile dell’atteggiamento
della folla che possiamo chiamare di ?opposizione polare?, secondo
l’espressione di Romano Guardini, è sufficiente che ognuno si guardi dentro,
esamini il suo cuore. Già il profeta Geremia ammoniva: “Più fallace di ogni
altra cosa è il cuore e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere?” (Ger
17, 9). Il tradimento di Giuda, e poi quello di Pietro, mostrano quanto sia
grande l’inaffidabilità umana. Non succeda anche a noi, in questi santi giorni,
quanto accadde a Gerusalemme: gridiamo ‘?Osanna? e, con la stessa facilità
di quella folla, poco dopo, ?crucifige!?. Siamo appena immersi nella gioia
della regalità del Signore, quando, subito dopo, con puntualizzazione
cronologica agghiacciante, il racconto della passione ci fa seguire le
ultime ore di un condannato innocente. In drammatiche sequenze, persone,
oggetti, episodi, situazioni assurde si rincorrono conferendo a questa storia
di duemila anni fa un’attualità reale e misteriosa.
L’ingresso di Gesù in Gerusalemme è preceduto dalla scelta di un
asino: “Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso,
troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e
portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: «Perché fate questo?», rispondete: «Il
Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito»” (Mc 11,2-3).
I santi Padri offrono una chiave interpretativa del
significato di questi due animali. L’asina è figura del popolo giudeo
sottoposto al giogo della Legge; il puledro sul quale, precisa l’evangelista
Marco, nessuno è ancora montato (Mc 11,2), rappresenta la gentilità, non domata
da nessuno fino allora.
Gesù entra in città non come un re, ma con l’umiltà e la pacatezza di un servo,
galoppando un asino. L’asino era l’animale mite che anche i primi re d’Israele,
Davide e Salomone, cavalcavano in tempo di pace, ricorrendo invece al
destriero e al cocchio nei tempi di guerra.
L’espressione “Asinus portans mysteria”, attribuita a Erasmo da
Rotterdam (1466-1536), possiamo applicarla oggi all’immagine dell’asino che
porta Cristo, alla Chiesa, serva d’amore, in missione per il mondo.
Una Chiesa serva d’amore non si regge su sicurezze umane,
supera la frequente tentazione della potenza e della gloria sui regni della
terra (cfr. Lc 4, 6), non si ferma perché non ha o perché non può. Tutto può in
Colui che le dona forza e, come Lui, assumendo forma di serva (cfr.
Fil 2, 7), cammina spedita andando per il mondo “senza borsa, bisaccia e
calzari” (Lc 10, 4).
Una Chiesa serva d’amore mostra al mondo la letizia dell’accoglienza
e della Misericordia per tutti, nessuno escluso.
In quest’ottica, l’ingresso di Gesù in Gerusalemme sul groppo di un asino deve
farsi pedagogia di vita. Ognuno di noi può e deve divenire portatore di Cristo.
San Giovanni Paolo II, a proposito di questa pericope Lucana, annotava: “Gesù
non ha inteso la propria esistenza terrena come ricerca del potere, come corsa
al successo e alla carriera, come volontà di dominio sugli altri. Al contrario,
Egli ha rinunciato ai privilegi della sua uguaglianza con Dio, ha assunto la
condizione di servo divenendo simile agli uomini, ha obbedito al progetto del
Padre fino alla morte sulla Croce” (Omelia 8-4-2001).
La Liturgia di oggi ci avvia alla Pasqua del
Signore. E’ un preludio della Sua Risurrezione. L’entrata in Gerusalemme,
infatti, dà il via all’ora storica di Cristo, verso la quale tende tutta
la sua vita, ma dà il via anche all’ora che è il centro della storia del
mondo.
In questa Settimana Santa desideriamo pregare per la pace a
Gerusalemme, ricordando le parole profetiche di Giorgio La Pira, il
sindaco santo, che, il 1969 di ritorno dalla Terra Santa, affermò: “Non
ci sarà pace nel mondo finché non ci sarà pace in Israele”.
Lasciamoci prendere per mano da Maria, regina della Pace e donna del terzo
giorno. Chiediamole di accompagnarci a vivere alla sequela di suo figlio Gesù,
crocifisso e risorto, sul passo degli ultimi.
Una Settimana Santa che ci renda santi, tutti.
† Francesco Savino