Si è spento, all’età di 97 anni, Peppino Calamita.
Era l’ultimo sopravvissuto di una tragedia che, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, provocò a Bitonto 14 morti, tra cui dodici bitontini e due militari inglesi. Un incidente che, a 80 anni di distanza, è ancora ricordata in città come “strage della Ioiò”, nome che non è altro che una lettura erronea, da parte di una popolazione al cui interno l’analfabetismo dilagava. “Ioiò”, infatti, è in realtà 1010, il numero del battaglione britannico che stazionava nella caserma colpita dalla tragedia.
Era la mattina del 12 maggio 1944. Il Sud Italia era stato liberato dai tedeschi e dai fascisti e gli alleati avevano occupato le città meridionali, tra cui Bitonto, dove stazionava una cospicua presenza di militari inglesi.
Camionette di soldati alleati attraversavano quotidianamente la città, trasportando munizioni ed esplosivi. Si fermavano in pieno centro e ingaggiavano operai pagati a giornata, per piazzare quei carichi delicati e pericolosi nei depositi militari. Gente povera che cercava, attraverso quel lavoro rischioso, di portare a casa qualcosa per sfamare la famiglia. Ma quel giorno qualcosa andò storto e, all’improvviso, un’esplosione fortissima coinvolse la caserma 1010, in un casolare sulla via per Santo Spirito, senza lasciare scampo ai 14 occupanti. A saltare in aria furono mine in partenza per il fronte. Le cause non furono mai chiarite. Forse a provocare la deflagrazione, una sigaretta. Morirono Francesco Calò, Giovanni Carnicella, Michele Carnicella, Carlo Cirone, Vincenzo Cozzella, Giuseppe Guglielmo, Giuseppe Milillo, Giuseppe Naglieri, Gaetano Saracino, Vito Sivo, Michele Sgaramella, Andrea Valentini, e due militari inglesi (E. Brogan e R. Clow Pioneer). La loro lapide è nei pressi dell’ingresso principale del cimitero cittadino.
Calamita doveva essere tra loro, ma improvvisamente i piani cambiarono e lui fu incaricato, insieme ad altri operai, di salire su un camion in direzione Taranto, per trasportare altri esplosivi. Calamita sul nostro mensile raccontò: «Solo grazie a quella improvvisa missione lontano da qui, mi salvai. Nonostante questo indescrivibile dramma, l’attività continuò incessantemente e cessò solo nella primavera del 1945, quando i tedeschi si ritirarono. In quel periodo Bitonto era una polveriera. E fu un bene che non ci fu alcun attacco dei sabotatori. Sarebbe stata una distruzione assoluta».