«Noi
saremo sempre in piazza per i nostri diritti e per difendere
un’azienda come l’Ansaldo caldaie, il fiore all’occhiello della
produzione di caldaie per le centrali elettriche».
La
battaglia di Vincenzo Martinelli è quella di altri 196 dipendenti
che dal 10 aprile rischiano seriamente di trovarsi senza
un’occupazione e un futuro.
L’Ansaldo
caldaie, infatti, l’impresa che realizza boiler industriali, ha
deciso di chiudere la sede di Gioia del Colle dal primo venerdì dopo
Pasqua, mettendo così i dipendenti, già in cassa integrazione da
quasi un anno, con le spalle al muro. Nonostante la stessa azienda
dichiari, sul proprio sito Internet, di essere leader nella
produzione di caldaie e nella
tecnologia ed eccellenza operativa per generatori di vapore.
La
sua storia recente è assai simile a quella di altre imprese. Fino al
2001 era di proprietà di Finmeccanica, poi lo Stato ha deciso di
venderla. «Quando
questo è successo – sottolinea
Martinelli, l’unico dipendente bitontino dell’Ansaldo – l’allora
sottosegretario all’Industria, Francesco Boccia, ci aveva assicurato
che con la cessione non sarebbero venuti meno i paletti necessari per
garantire continuità occupazionale e sviluppo».
Così
non è stato. Lentamente, infatti, le maestranze passano da circa 700 agli
attuali 197. La situazione si aggrava nell’ultimo periodo: «Da
marzo 2014 – afferma
il segretario cittadino di Rifondazione comunista – siamo
in cassa integrazione, ma speravamo che fosse una situazione
passeggera perché l’azienda ha preso 3 commesse per costruire
caldaie in Egitto e in India. Il 22 gennaio, invece, ha comunicato di
chiudere e da allora siamo in presidio permanente ogni
giorno».
La
motivazione della scelta sarebbe l’eccessivo “peso” della
manodopera italiana. «Ogni
lavoratore – spiega
Martinelli – costa
38 euro al giorno all’Ansaldo, mentre andando in Egitto il costo
sarebbe soltanto di 10». Ecco
spiegato perché il mercato dell’impresa è
oggi quasi esclusivamente fuori Europa.
Per
fortuna, però, le istituzioni sembrano aver preso a cuore questo
ennesimo caso di crisi del mondo del lavoro. «Mercoledì
– dice
– c’è
stato un tavolo tecnico al ministero dello Sviluppo economico, in
cui il viceministro Claudio De Vincenti ha rispedito all’azienda il
piano di dismissione». Al
vertice, a cui ne seguirà uno lunedì prossimo, c’erano anche il
sindaco della Città metropolitana Antonio Decaro, l’assessore
regionale al Lavoro Leo Caroli e il sindaco di Gioia del Colle Sergio
Povia.
Dario
Ginefra (Pd) e Francesco Cariello (M5s) hanno anche presentato una
interrogazione parlamentare al ministro Federica Guidi, chiedendogli
«quali
misure intenda adottare per evitare che al Mezzogiorno venga
sottratto un ulteriore settore di produzione che potrebbe fungere da
locomotore trainante per il rilancio dell’economia».
Il
deputato pentastellato, inoltre, ha
incontrato i lavoratori in presidio permanente davanti ai cancelli
della fabbrica
(http://www.dabitonto.com/cronaca/r/caso-ansaldo-caldaie-francesco-cariello-interroga-il-ministro-quali-misure-si-vogliono-adottare/5427.htm).
Martinelli
rivela, poi, anche un altro scenario, che adesso passa in secondo
piano ma non per questo meno importante: le sette morti per amianto
dal 1994 al 2003, per le quali la procura di Bari ha rinviato a
giudizio 11 persone. Decessi – sostiene l’accusa – causati
dalla presenza di polveri di amianto sui luoghi di lavoro.
La
chiosa di Martinelli è laconica. «Non
sono né ottimista né pessimista. La cosa certa è che faremo di
tutto per mantenere il nostro lavoro».