È stato presentato ieri, 22 marzo, al Piccolo Cinema di Santo Spirito, il film Nato a Casal di Principe, che racconta la storia di Paolo, fratello del produttore, Amedeo Letizia, ucciso a Casal di Principe a fine anni ’80 dal clan dei casalesi. Il film è tratto dall’omonimo libro scritto a quattro mani con Paola Zanuttini.
Paolo venne rapito il 19 settembre 1989, torturato ed ucciso dagli uomini dei boss Schiavone e Bidognetti, quelli raccontati nella Gomorra di Roberto Saviano, ma di lui non si seppe più nulla fino al 2015, quando le verità processuali emersero e la tragedia venne a galla. Era un ragazzo figlio di un imprenditore, concessionario di zona di una nota casa che produceva gelati. Le ragioni della sua uccisione, tuttavia, non sono state chiarite fino in fondo.
Amedeo Letizia è oggi, a 51 anni, un produttore che va affermandosi e che non ha mai avuto paura di cercarla quella verità per suo fratello, guardando in faccia i codardi camorristi che lo eliminarono.
Gli Schiavone ed i Bidognetti furono condannati a 30 anni di carcere come mandanti ed esecutori di un delitto senza un perché, ben raccontato dalla pellicola diretta da Bruno Olivieri e presentata non a caso al Piccolo Cinema di Santo Spirito, presidio di legalità nel quartiere barese con un bella marina, ma sempre più condannato da una politica spesso inetta ad essere periferia di una città con gravi problemi di criminalità.
Letizia, conosciuto negli anni ’90 come uno degli amatissimi personaggi de I ragazzi del muretto, serie tv di Rai 2 che riscosse grande successo tra i giovani, ha incontrato a Santo Spirito gli alunni dell’ITC “De Viti- De Marco” di Triggiano, con i quali ha avviato un dibattito al termine della proiezione.
«Premere un grilletto sarebbe stato facile anche per me – ha detto ai ragazzi presenti in sala –, poiché cercavo vendetta, ma uccidere un uomo sarebbe stato facilissimo ed azzardato, perché avrebbe dato il via ad una lunga scia di sangue. E non è mai una idea giusta».
Letizia non ha avuto remore a raccontare il suo dolore, la sua rabbia, la sua voglia di ridare indietro ciò che aveva subito, ma nel film emerge l’importanza di non aver mai fatto quel passo verso il baratro.
Non esiste solo la Gomorra raccontata da Saviano, a cui il produttore dà il merito per aver alzato il velo di omertà e ipocrisia che copriva i casalesi, ma ci sono anche tante storie non raccontate come quella di Paolo, fuori dalla retorica dei buoni contro i cattivi dell’antimafia di professione.
Vivere a Casal di Principe negli ’80 e ’90 era morire un po’ ogni giorno ed il film lascia intuire l’aria cupa che si respirava in un angolo di Italia e di mondo dove le regole le dettavano personaggi usciti da una pellicola di Quentin Tarantino.
Ad Amedeo Letizia e Bruno Oliviero il merito di aver realizzato un gran bel film, un documento importante che squarcia il silenzio su Paolo, un ragazzo trucidato senza un perché.