L’epilogo della vicenda che ha visto lo scontro a fuoco del 30 dicembre scorso, ha dei risvolti positivi: innanzitutto gli arresti, in secondo luogo l’aver aperto un enorme vaso di Pandora, il terzo che le Forze dell’Ordine, nonostante nulla abbiano potuto contro le armi fumanti, avevano intuito tutto da mesi. Da agosto, per l’esattezza, quando gli animi dei criminali si cominciarono a scaldare e portarono al pestaggio violento in un’autorimessa. In questa occasione, partono le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia assieme alla Polizia di Stato, agli occhi attenti dei dirigenti Gargano e Gargiulo, che consentono di far finire in carcere, in custodia cautelare, il 28enne Domenico Liso, il 20enne Damiano Caputo e il 34enne Vito Antonio Tarullo (leggi qui: http://bit.ly/2gKBVjh) per i reati di porto illegale di armi in luogo pubblico e lesioni personali aggravate, con l’aggravante di aver commesso i reati con l’utilizzo del metodo mafioso, a norma dell’art. 7 Leg.203/91.
Ebbene, è proprio Tarullo che con i numerosi precedenti penali a suo carico e l’ultima pesante custodia cautelare decide di collaborare con la giustizia dopo i fatti del 30 dicembre, provato dal fatto che all’interno di una faida criminale ci fosse finita di mezzo una donna innocente.
Il motivo della lotta tra clan di fine estate. Il gruppo “Conte”, operativo nella periferia urbana nel complesso delle case popolari di via Pertini, si è allargato anche nel borgo antico, in zona via San’Andrea, composto da una defezione di alcuni esponenti del gruppo “Cipriano” capeggiato dal pluripregiudicato 31enne Francesco Colasuonno “Ciccio Cipriano” che il 25 gennaio 2018 è finito in carcere per un’altra vicenda (leggi qui: http://bit.ly/2E9FgPS). L’indotto del mercato degli stupefacenti dei Cipriano, egemone fino a quel momento, vedeva così minacciato il suo indotto.
I contrasti a fuoco di dicembre. Sin dal 29 dicembre gli esponenti del gruppo “Cipriano” intimavano l’ex sodale Cosimo Liso, fratello di Domenico e da poco transitati nel gruppo “Conte”, di abbandonare la propria abitazione nel centro storico. Insomma, non fai più parte del mio gruppo, devi lasciare anche il mio territorio. Questa minaccia provocò la reazione di Liso che, alle prime ore del 30 dicembre, con una prima azione armata provocava un meccanismo di “botta e risposta” con una serie di azioni di fuoco per le vie di Bitonto culminate con il ferimento del 20enne Giuseppe Casadibari, legato al clan “Cipriano”, e l’uccisione dell’innocente 84enne Anna Rosa Tarantino, finita nella traiettoria dei numerosi proiettili.
La ricostruzione temporale. Alle 6.30 circa Cosimo Liso esplode alcuni colpi d’arma da fuoco verso una abitazione frequentata dai componenti dei “Cipriano”. Alle 7.00 gli affiliati dei “Cipriano”, per vendicarsi dell’azione di Liso, vanno verso la sua abitazione e non trovandolo gli devastano il portone d’ingresso. Arriviamo alle 8.15 circa quando quattro esponenti dei “Cipriano”, tra cui lo stesso Ciccio Colasuonnno, Rocco Mena, Benito Ruggiero, armati e con il volto travisato, a bordo di due scooter si recavano alla roccaforte dei “Conte” in via Pertini dove esplodevano 31 colpi d’arma da fuoco con diverse pistole semiautomatiche di diverso calibro sul portone d’ingresso, al civico 105, della palazzina dove ha sede la piazza di spaccio del gruppo criminale (conclamato anche dai sequestri di quella mattina dall’Arma dei Carabinieri, leggi qui: http://bit.ly/2BWsJNY), uccidendo deliberatamente il pastore tedesco Rocky. Alle 8.25, dopo nemmeno dieci minuti, gli uomini del gruppo “Conte”, in risposta all’offensiva si recano nel centro storico per colpire un bersaglio qualsiasi della consorteria avversaria: in questa azione in via Le Marteri si trova per caso il pusher 20enne Giuseppe Casadibari. Verso di lui almeno 17 colpi d’arma da fuoco esplosi da due pistole diverse semiautomatiche che lo attingevano al torace. In questo contesto si trovava, anch’essa per caso ed estranea ai fatti, l’84enne Anna Rosa Tarantino, attinta, a sua volta, mortalmente da almeno due colpi di pistola uno al fianco e l’altro alla gamba.
Casadibari, poi, dopo meno di un minuto era a bordo di un motorino e con altri due soggetti del clan “Cipriano” viene condotto al Punto di Primo Intervento di Bitonto e successivamente trasportato al Policlinico di Bari dove, pochi giorni dopo viene operato. Da qui in poi diventerà collaboratore di giustizia e, per questo, condotto in programma protezione.
Gli autori del fatto, invece, si dileguano dal posto e si recano in campagna in luogo conosciuto per disfarsi di indumenti e armi.
Le indagini. Per la prima volta ben quattro uffici diversi, tra Polizia di Stato – Squadra Mobile di Bari, guidata dal dott. Annino Gargano, Commissariato di Bitonto, guidato dal dott. Fabrizio Gargiulo, – Arma dei Carabinieri – Comando Provinciale, guidato dal Comandante Vincenzo Molinese e Tenenza di Molfetta, guidata dal Comandante Vito Ingrosso -, coordinate dalla DDA, collaborano per raggiungere l’obiettivo in meno di due mesi e mezzo.
Le indagini sono state condotte con metodi tradizionali, attraverso l’esecuzione di intercettazioni telefoniche e tra presenti, l’esecuzione di testimoni e l’effettuazione di rilievi tecnico – scientifici (comprese le videocamere di videosorveglianza cittadine, perfettamente funzionanti), ai quali si aggiungeva la collaborazione di giustizia di Tarullo e di Casadibari.
Grazie a tutto questo, è stato possibile acquisire seri e concreti elementi di colpevolezza a carico degli indagati Michele Sabba e Rocco Papaleo, quali responsabili della tragica azione armata di via Le Marteri.
Le accuse. A Benito Ruggiero e Michele Rizzo sono stati contestati anche i gravi episodi di minacce e intimidazioni nei confronti dei congiunti e dei famigliari di Casadibari, al fine di impedire la collaborazione del ragazzo.
Nei confronti del 31enne Colasuonno, del 28enne Ruggiero, del 30enne Mena, del 23enne Liso, del 24enne Sabba e del 38enne Papaleo, è stata prevista la custodia cautelare in carcere, a vario titolo per le posizioni di ciascuno, dei reati di omicidio, tentato omicidio, spari in luogo pubblico, detenzione e porto abusivo di armi, minaccia e violenza privata; tutti aggravati dall’aver agito con il metodo mafioso, previsto dall’art.7 D.L. 13 maggio 1991 n.152, convertito in Legge 12 luglio 1991 n.203. Per il 45enne Rizzo è stata prevista la custodia cautelare al regime di detenzione domiciliare