Nei giorni scorsi, sono rientrate in Italia le salme di cento soldati italiani caduti in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale, molti dei quali non identificati. Sono state tumulate al Sacrario militare di Cargnacco, in provincia di Udine. Parliamo, ovviamente, di soldati che hanno preso parte alla campagna italiana di Russia, quando l’Italia guidata da Mussolini partecipò all’operazione Barbarossa, avviata nel 1941 dalla Germania nazista contro l’Unione Sovietica.
Un’operazione che si rivelò fallimentare per le forze dell’asse, preparando così il terreno alla loro sconfitta, qualche anno più tardi. Le perdite, nell’esercito italiano (come anche in quello tedesco), furono innumerevoli. Anche un bitontino, Giuseppe Sorgente, reduce da quell’esperienza, ne parlò nel libro “Un fante in Russia”, presentato nel 2014 a Bitonto. Nel volume l’autore ricorda la propria esperienza al fronte e il suo ritorno, tra mille difficoltà dalla Russia alla natìa Bitonto, cercando di sfuggire ai mille pericoli lungo il cammino.
Spesso i soldati morti nella gelida steppa russa hanno impiegato anni, decenni per tornare in patria. Molti dopo la caduta del regime sovietico. In moltissimi casi di quei corpi si è perso anche il nome. Cadaveri di cui si è persa l’identità, distrutta dal tempo e, prima ancora, dai colpi dell’esercito russo. Soldati come quelli rientrati nei giorni scorsi e come tanti altri scomparsi in quelle fredde distese bianche.
L’individuazione, l’esumazione e il rimpatrio dei caduti italiani, come si legge consultando testate friulane, sono stati possibili grazie all’Associazione russa “I Memoriali Militari”, su iniziativa della Direzione Storico-Statistica del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti della Difesa per il tramite dell’ufficio militare dell’Ambasciata d’Italia a Mosca.
Nel Sacrario Militare di Cargnacco, dove sono state tumulate le salme, riposano circa 8.700 (di cui circa 500 noti) caduti italiani che a partire dal 1990 sono stati rimpatriati dalla Russia. A tale numero si aggiungono altri 3.086 caduti identificati che dopo il rientro in Patria sono stati affidati alle famiglie di origine.
Tra i caduti sul fronte russo ci sono anche ragazzi che, nati a Bitonto, non hanno più potuto rientrarvi. Basta fare una ricerca sul motore di ricerca del sito dell’Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia (www.unirr.it), per trovare ben 26 nomi di soldati morti nei campi di prigionia sovietici o dispersi.
I dispersi sono la gran parte. Accanto al loro nome, in caratteri maiuscoli, alla voce “luogo di decesso” si legge “Località non nota”, come non noto è anche il luogo dove riposano le spoglie mortali: Gaetano Bavaro, Michele De Astis, Luigi De Caro, Michele Fallacara, Gaetano Fioriello, Tommaso Gianpalmo, Antonio Labianca, Nicola Lavacca, Gioacchino Lioce, Antonio Lovascio, Oronzo Lovero, Francesco Milillo, Giuseppe Piccinonna, Raffaele Ruta, Mario Sannino, Raffaele Segreto, Giuseppe Stellacci, Giuseppe Vacca.
Di altri si conosce, invece, il campo o l’ospedale dove trovarono la morte. Come Giacomo Acquafredda, deceduto all’ospedale 2989 di Kameskovo, nella regione di Vladimir, sulla linea ferroviaria Mosca-Gorki. Qui morirono altri 1346 militari italiani. Era l’ospedale del campo di Suzdal, il campo 60, dove perì anche Vito Tisbo. In questo campo, situato in un convento-fortezza del 1600, nei primi mesi del 1943 vi furono rinchiusi moltissimi prigionieri italiani catturati tra il Natale e la fine del 1942. Ne morirono 821. Dall’ ottobre del 1943 divenne un campo di soli ufficiali di tutte le nazionalità.
In un altro ospedale, il 1773 di Bistriaghi, nel versante europeo dei monti Urali, si spense Francesco Brattoli, insieme ad altri 243 italiani.
Vincenzo Lovero morì nel campo 188 di Tambov, nell’omonima regione a sud-est di Mosca. Questo era uno dei più grandi per capienza. Vi morirono in 8197, ai quali si devono aggiungere i 998 morti nei due lazzaretti.
Francesco Masciale si spense nel campo 56 di Uciostoje, sempre nella regione di Tambov. Lager di primo smistamento, rimase aperto solo tre mesi, durante i quali morirono 4344 italiani, tutti appartenenti al Corpo d’Armata Alpino.
Tommaso Saltarella e Vito Stellacci, invece, perirono nel campo 58 di Tiomnikov, campo sito nella repubblica di Mordovia, 500 km a sud-est di Mosca. Vi furono rinchiusi, e in gran parte vi morirono, gli italiani delle Divisioni di Fanteria. I morti accertati furono 4329.
Domenico Sicolo, infine, spirò nel campo 67 di Bostianovka nella regione di Sverdlovsk con altri 1.293 connazionali.
I dati presenti sul sito sono relativi a militari italiani per i quali è stato possibile effettuare una traslitterazione certa del nome, dall’alfabeto cirillico a quello latino, grazie agli elenchi in cirillico pervenuti al nostro Governo dalla Russia a partire dagli anni ’90.