Se diamo uno sguardo alla cinematografia degli anni ’70, italiana e internazionale, notiamo che, tra i temi più ricorrenti, vi furono la violenza urbana, la criminalità, organizzata e non, la sempre maggiore percezione di insicurezza tra i cittadini, vittime di rapine, furti, scippi, estorsioni, omicidi. In quei film vediamo, come protagonisti, una criminalità sempre più spietata, forte anche delle risorse derivanti da un business sempre crescente per le organizzazioni criminali, quello della droga. E, dall’altro lato, vediamo una polizia incapace di far fronte ad una delinquenza aumentata.
Sono temi, questi, tipici del cinema italiano di quei tempi, in cui si impose il popolare genere poliziottesco, con i suoi commissari che, sfidando corruzioni e leggi inadeguate, combattevano la prepotenza dei criminali. Ma non solo. La stessa tendenza si verificò anche nel cinema statunitense, che vide un grande sviluppo degli action movie in cui l’eroe di turno combatteva contro la criminalità, o in cui un cittadino vendicava della violenza subita. Si pensi alla fortunata saga dell’ispettore Callaghan, in cui Clint Eastwood e la sua 44 Magnum sfidano la malavita. O a quella di “Death Wish”, approdata in Italia come “Il giustiziere della notte”, in cui Paul Kersey (Charles Bronson) un pacifico cittadino, obiettore di coscienza, per vendicare la famiglia uccisa, si arma per dare la caccia ai responsabili. O si pensi, ancora, ad un altro personaggio che, proprio in quegli anni (1974), nacque con i fumetti Marvel della serie The Punisher: Frank Castle, ex marine e poliziotto a cui la mafia stermina la famiglia, innescando in lui una terribile sete di vendetta.
Ovviamente il cinema, il fumetto, la letteratura sfruttarono a proprio vantaggio il fenomeno, magari amplificandolo, per trarre le loro narrazioni, come del resto fanno tutte le forme di espressione artistica, ma non si inventò nulla. Anzi, i soggetti di quelle opere furono spesso la cronaca nera, le notizie di crimini orribili, le gesta delle organizzazioni mafiose in espansione e le notizie dei giornali che ne parlavano.
Gli anni ’70, come abbiamo già visto negli appuntamenti precedenti di questa rubrica, furono anni duri per tutto l’Occidente e, in particolare, per l’Italia, che vide la fine del miracolo economico e l’inizio di un periodo di crisi economica e politica, di contestazioni e di insicurezza dovuta anche ad una crescita straordinaria del fenomeno criminale, del numero dei furti, delle rapine, degli scippi, dei sequestri di persona a scopo di estorsione, degli omicidi, dei reati legati all’emergente traffico di droga. Una violenza dilagante nelle città e in quelle periferie povere, degradate e somiglianti a veri e propri ghetti, nate dall’industrializzazione e dall’aumento demografico conseguente alla crescente migrazione di persone dalle campagne alle città. Periferie destinate ai poveri lavoratori, spesso prive di servizi anche per colpa della selvaggia speculazione edilizia dei due decenni precedenti, e, soprattutto con la fase negativa dell’economia, sempre più luogo di degrado. Luoghi che divennero terreno fertile per l’aumento della criminalità. E il clima di contestazione e l’aumento del peso dei giovani, tra cui, da un punto di vista meramente statistico, ci fu più insofferenza alle leggi, furono anche tra i fattori di questo fenomeno.
A partire dalla fine degli anni ’60 ed in particolare con gli anni ’70, il panorama criminale italiano mutò profondamente. Si registrò una crescita straordinaria del numero dei furti, delle rapine, dei sequestri di persona a scopo di estorsione e degli omicidi, che si avvicinò, se pur senza raggiungerlo, a quello del dopoguerra. Ma ricoprì un periodo ben più ampio. Per tornare nuovamente ad un calo dei reati si dovette, infatti, aspettare i primi anni ’90.
Come abbiamo già anticipato, non fu una tendenza solamente italiana. Mutamenti simili si verificarono in tutto l’Occidente, anche se spesso iniziarono ancor prima. Anche la diffusione del benessere aveva contribuito al fenomeno, inondando la società italiana e occidentale di beni, soldi, automobili, che divennero facile preda e nuove opportunità per la criminalità, specialmente quando l’ondata positiva dell’economia si concluse, con le naturali conseguenze negative nella società. Basti pensare alle automobili, uno dei simboli del progresso economico del ventennio precedente, che divennero sempre più oggetto di furti («Le automobili tanto tempo fa le aprivi con la chiave della Simmenthal» cantarono ironicamente Toti e Tata nei primi anni ‘90).
Il fenomeno riguardò, all’inizio, principalmente le grandi città e Bari non fece certo eccezione. E neanche la sua provincia. Se si vuol cercare una testimonianza di come il fenomeno criminale subì una grande impennata, in quegli anni, basta consultare le cronache dei giornali dell’epoca. La Gazzetta del Mezzogiorno, ad esempio, riportando il resoconto dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il 13 gennaio 1972, pubblicò le parole dell’allora procuratore generale della Corte d’Appello di Bari Aldo Peronaci, che denunciò l’insufficienza degli organici a fronte di reati in crescita in diversi centri pugliesi, tra cui Bitonto, che in quel periodo fu spesso al centro delle cronache nazionali anche per la vicenda dei cinque bambini morti ritrovati, tra il ’71 e il ‘72, in un pozzo nel centro storico. Delitti che maturarono in quell’ambiente di arretratezza, miseria economica e degrado che fu terreno fertile per lo sviluppo della criminalità in città.
«Scarso il personale ausiliario a Bari, Bitonto, Acquaviva, Gravina, Noci, Cerignola, Orsara, Lucera, Rodi Garganico, Torremaggiore, Molfetta, Corato, Canosa, Barletta e Trani. […] Il lavoro, al contrario, è aumentato» denunciò Peronaci.
E che il lavoro fosse aumentato lo confermò lo stesso quotidiano, riportando i dati dei reati: «La criminalità è in aumento. Basta esaminare le cifre: 71042 denunce nel ’71 (59260 nel ’70) reati contro l’ordine pubblico 138 (72), contro la fede pubblica 544 (406), contro l’economia pubblica 375 (151), omicidi colposi 326 (348; l’unico delitto che ha fatto registrare una flessione), omicidi volontari 21 (18), preterintenzionali 3 (1), rapine ed estorsioni 323 (183), furti 37207 (26452), reati contro le leggi che reprimono apologia e ricostituzione del fascismo 13 (1), prostituzione 23 (17). […] Delinquenza minorile. In aumento i reati: 2101 nel ’71 contro i 2050 dell’anno precedente; si tratta, in massima parte, di furti, rapine, estorsioni e lesioni». Il quotidiano, qui, si lascia andare ad opinabili interpretazioni che fanno ricadere parte della responsabilità su film e pubblicazioni diseducativi.
«L’ondata di criminalità (in particolare i circa 11mila furti in più) opera una lenta erosione dello stato di diritto – aggiunse ancora Peronaci, che provò a dare una sua spiegazione del fenomeno – I reati contro il patrimonio e quelli, talora molto più gravi, che vi sono connessi, trovano il loro principale incentivo nella sfrenata sete di danaro provocata nei meno abbienti dall’immodesta ostentazione di ricchezza delle classi agiate».
Sotto accusa erano leggi inadeguate e processi lenti, una burocrazia caratterizzata da formalismi «pedanti ed elefantiaci» e un organico ridotto. Elementi che, per il procuratore generale, determinavano una «scarsa certezza del diritto».
Al di là di quel che fu detto in quell’occasione, tra le cause, indubbiamente, vi furono i cambiamenti della società e dell’economia a partire dagli anni ’70 e proseguiti negli anni ’80.
«Negli anni ’80 si segnalavano ampiamente, nella regione, fattori negativi, quali la perdita di identità delle città rurali di media ampiezza, ingenerata dalla lunga recessione dell’economia agricola, e, in centri quali Taranto e Brindisi. […] Dieci anni di crisi delle derrate avevano lacerato il tessuto delle cinque province, ponendo le basi del modello camorrista» scrive Nisio Palmieri in “Criminali di Puglia”, in cui indica la fase negativa dell’economia pugliese e, in particolare, del settore agricolo che ancora era predominante nella nostra regione, per spiegare lo sviluppo della malavita organizzata, argomento che, per il momento tralasciamo.
Ma, al di là di quelle che erano o potevano essere le cause, da sottolineare furono gli effetti. La sempre più diffusa percezione di insicurezza, unita ai disordini politici di quel periodo, che interessarono soprattutto le grandi città, e alla crisi di consensi e legittimità che il sistema dei partiti cominciava ad accusare, portò ad un incremento del senso di sfiducia verso le istituzioni politiche e statali. Sfiducia che, unita ad una difficoltà della politica del tempo a stare al passo con una società che cambiava velocemente, portò alla crescita di consensi verso nuove forze politiche che abbracciarono la retorica securitaria, specialmente a destra. Forze politiche come quei movimenti regionalisti e autonomisti che, additando tra le cause della maggiore insicurezza, l’immigrazione dei meridionali, riuscirono a fare breccia in alcune delle regioni del settentrione, economicamente più ricche e gelose di quella maggiore ricchezza, tanto da volerla preservare con l’autonomia e il contrasto all’arrivo di tanti immigrati dalle regioni del sud.
Ad aumentare non fu solo la delinquenza comune, ma anche quella organizzata, specialmente verso la fine degli anni ’70, quando la lunga mano di Cosa Nostra e, soprattutto, della Camorra, arrivò in Puglia, trasformando quelle che prima erano piccole famiglie ed organizzazioni dedite a reati comuni, in vere e proprie organizzazioni mafiose che, nel decennio successivo, diventeranno più autonome. E che, spesso, come tutte le organizzazioni mafiose, punteranno i propri tentacoli verso un sistema politico sempre più debole.
Ne parleremo più nel dettaglio, domenica prossima, illustrando anche le conseguenze che lo sviluppo della malavita organizzata ebbe nel sistema politico italiano.