La legge 142 dell’8 giugno 1990, altrimenti detta “riforma degli enti locali”. Una legge che ebbe conseguenze importanti. Ridefinì la disciplina degli enti locali, dando loro uno spazio ben più rilevante rispetto a quello avuto nei primi 45 anni di Repubblica. E aprì la strada a tutta una serie di sperimentazioni di governance del locale, su vari aspetti. Si iniziò a pensare a nuovi modelli di rapporto tra elettori e politica locale e si iniziò a spianare la strada per quella che sarà definita la “stagione dei sindaci”, quando, con la legge 81 del ’93, il primo cittadino finirà per avere una maggiore rilevanza politica, alla luce della sua nuova elezione diretta, non più attraverso il consiglio comunale.
La legge dettò i principi dell’ordinamento di comuni e province e garantì alle comunità locali maggiore autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa, nonché autonomia impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica. Diede mandato ai comuni di promuovere e valorizzare le libere forme associative e gli organismi di partecipazione popolare all’amministrazione locale, anche su base di quartiere o di frazione, su questioni inerenti tematiche locali. Forme associative da disciplinare in uno statuto comunale.
Previde, inoltre, l’istituto del difensore civico, a cui fu affidato un ruolo di garante dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione comunale o provinciale, segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi dell’amministrazione nei confronti dei cittadini. Argomento, quest’ultimo, che vide una lunga discussione a Bitonto. Torneremo in seguito su quest’ultimo argomento, concentrandoci, oggi, sull’iter che portò all’approvazione dello Statuto Comunale di Bitonto.
La sua bozza fu redatta nell’agosto del ’91, firmata da Amedeo Urbano, Francesco Paparella, Carlo De Bellis, Luciano Maiorano, Francesco Walter De Santis, e consegnata alla commissione politica, affinché desse ulteriori indicazioni e suggerimenti prima del voto in consiglio comunale.
La bozza ridisegnava le attribuzioni amministrative in base alla nuova legge sugli enti locali, la 142 dell’anno precedente, appunto. Formata da 66 articoli, che ricoprivano tutti gli aspetti, introduceva diversi punti forti come la non validità della seduta consiliare in caso mancasse più della metà dei consiglieri in prima convocazione e più due terzi nella seconda. Indicò il decadimento dalla carica di consigliere in caso di assenza in mancanza di giustificati motivi, per tre sedute consecutive. E stabilì la rappresentanza dell’opposizione in caso di nomine plurime in organi collegiali. Previde, infine, le commissioni consiliari permanenti e speciali.
Ci volle un altro anno di discussioni per poter approvare il testo definitivo del documento, che entrò in vigore il 26 febbraio 1993, dopo essere stato approvato nella seduta consiliare del 17 luglio 1992.
Un documento redatto in un momento particolare della storia d’Italia e, di conseguenza, anche di quella locale. Un periodo, come avremo modo di vedere nei prossimi appuntamenti della rubrica, in cui forte era l’avversione alla politica di Roma. Un clima antipolitico di cui, nel bene e nel male, era figlia anche quella voglia di maggiore autonomia locale.