«I cittadini sono stanchi di questo modo di far politica».
«Sono tutti uguali».
«È un voto di protesta».
«Li abbiamo visti tutti all’opera. Diamo l’opportunità ad altri».
«Hanno tutti rotto … (i lettori aggiungano a piacimento il complemento oggetto, ndr)».
Sono solo alcuni dei mantra utilizzati dai più per giustificare il voto alle forze vincitrici di queste ultime competizioni elettorali: Movimento 5 Stelle e Lega. Mentre, da parte avversa, si dice che la gente ha votato di pancia, che hanno vinto l’antipolitica e il populismo.
Ma bastano davvero tali argomentazioni?
Forse il popolo è davvero stanco di «questo modo di far politica». Ma allora perché tali mantra sono triti e ritriti, utilizzati dopo ogni governo, contro ogni schieramento e forza politica che abbia governato negli ultimi decenni? Persino contro coloro che si erano presentati all’elettorato con toni antipolitici e populisti contro «questo modo di far politica», contro la politica fatta sempre dagli stessi, contro la casta. Mai come in passato, infatti, la politica si è rinnovata, si è ringiovanita e ha dato ascolto ai cittadini. Sin troppo, finendo per diventare megafono delle paure e degli istinti più bassi, privata ormai di quell’apparato ideologico che l’ha caratterizzata nella Prima Repubblica che permetteva di avere visioni a più ampio raggio.
Ma la percezione, da parte dei cittadini, finisce con l’essere sempre quella di una classe politica vecchia e sorda alle istanze. A prescindere da chi sia andato al governo, a prescindere dalla retorica utilizzata per conquistare l’elettorato, ogni forza politica ha, in breve, visto erodersi il consenso per essere accusata di essere casta, di non ascoltare i cittadini. E, spesso, le forze politiche sconfitte non hanno saputo fare di meglio che puntare il dito contro l’elettorato, colpevole di non aver compreso e di aver creduto alla retorica dell’avversario.
Lo abbiamo visto con Berlusconi, sceso in campo nel ’94 per contrastare la “vecchia classe politica italiana” colpevole di essere composta «da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare». Sceso in politica come alternativa ad «una politica di chiacchiere incomprensibili, di stupide baruffe e di politica senza mestiere». Toni antipolitici che saranno poi utilizzati anche da chi, poi, tenterà di conquistare il governo anche in alternativa a Berlusconi.
Lo abbiamo visto con Umberto Bossi, che utilizzò toni antipolitici in chiave regionalista, accusando la politica di non ascoltare la gente del Nord. Anche lui da autore, diventerà obiettivo delle invettive antipolitiche.
Lo abbiamo visto anche con Matteo Renzi, presentatosi come rottamatore della vecchia politica, come colui che avrebbe mandato in pensione l’intera classe dirigente italiana, per rinnovare la politica. Usando, tra l’altro, una terminologia che, lungi dall’essere originale, ha un illustre predecessore: Benito Mussolini. Fu lui infatti ad avviare per primo la “Grande campagna della rottamazione” con lo scopo di dare spazio ad una classe politica più giovane, di velocizzare l’azione politica. Anche lui contro la vecchia classe politica (non si vuol fare stupidi parallelismi tra Renzi e Mussolini, ma solo far notare le somiglianze sulla terminologia utilizzata).
Lo abbiamo visto anche con i politici ex magistrati. E con tanti altri che non stiamo ad elencare.
Tutti hanno iniziato la carriera politica sbandierando invettive contro la politica. Tutti sono stati accolti come salvatori, come una ventata di freschezza in una politica vecchia. E tutti hanno finito con l’essere accostati proprio a quella stessa vecchia politica che si intendeva denunciare e combattere. Come se, agendo come una lama a doppio taglio, quell’antipolitica abbia finito con il ferire non solo l’avversario, ma anche colui che la brandisce.
E, sono certo, lo vedremo anche con le forze politiche oggi vincitrici. Ci sarà qualche altro antipolitico che se la prenderà con loro, accusandoli dei misfatti che oggi vengono attribuiti a tutti gli altri.
Il risultato di queste competizioni è, in realtà, è in piena continuità con quel che accade da un quarto di secolo e oltre? C’è chi ha parlato di “Terza Repubblica”. Ma in realtà è solo la conseguenza dell’instabilità politica che ha caratterizzato, sin dal suo avvento, la Seconda Repubblica. È la diretta conseguenza da un lato della crescente disaffezione alla politica tra la popolazione, dall’altro di una politica che lungi dall’interrogarsi sul proprio ruolo in una società complessa e mutata negli anni, finisce con utilizzare la scorciatoia del personalismo, dell’abbattimento di ogni mediazione tra eletto ed elettore.
Questo accade anche a livello cittadino (a Bitonto come altrove), dove ogni amministrazione finisce con l’essere accusata di chiudersi dentro Palazzo Gentile senza ascoltare la città.
Intanto la partecipazione dei cittadini alla politica diminuisce sempre più e, come in una reazione a catena, la politica fugge al chiuso nel timore delle piazze vuote, limitandosi talvolta a fare ricerca di consensi presso aziende e gruppi di interessi (con tutte le conseguenze che si hanno in termini di azione politica).
Dove si erano mai visti comizi di chiusura della campagna elettorale al chiuso, nelle sedi di partito o in scuole private, come quelli che si sono avuti nei giorni scorsi a Bitonto? Dove si erano viste plance elettorali semivuote?
Forse è effetto della legge elettorale, come qualcuno accusa. Ma è anche l’effetto di un crescente scollamento tra politica e popolazione. Uno scollamento a cui hanno contribuito proprio coloro che avrebbero voluto porre rimedio con il leaderismo, il personalismo, con la disintermediazione della politica e con l’abbattimento dei partiti tradizionali. Forse è da una seria analisi della storia recente che la politica dovrebbe ripartire, senza affidarsi al prossimo salvatore della patria che finirà poi per essere accusato a sua volta. Forse bisogna interrogarsi sui danni che la crisi politica dei primi anni ’90 ha causato e continua a causare.
Perché forse tutto ciò è la diretta conseguenza di quando, per combattere un sistema partitocratico ormai inquinato, piuttosto che curare la malattia, si è pensato di sbarazzarsi del malato. Il sistema dei partiti, perse le fondamenta ideologiche, screditato e additato come l’origine di tutti i mali, abbandonato il bacino elettorale di riferimento nel tentativo di conquistare altre fasce della popolazione, persa ogni identità chiara e precisa, trasformato in un arcipelago di partiti mutevoli e con sempre meno legittimità, affidato a partiti costruiti intorno al leader e persa la capacità di analizzare una società complessa, ha finito negli anni con l’indebolirsi e con l’appiattirsi su posizioni più o meno liberali e liberiste, a seconda delle sfumature di destra e sinistra.
Quindi non è assolutamente una novità la vittoria di due forze populiste e antisistema alle elezioni politiche di domenica scorsa.
Forse, quel che la politica dovrebbe recuperare è una identità e una cultura politica di riferimento. Ovviamente senza guardare al passato, ma cercando di comprendere una società che è ormai mutata.
Non è certo facile, ma forse è necessario per evitare derive peggiori.