Il lavoro è un elemento fondamentale della vita perché contribuisce a costruire la nostra identità e ci dà la possibilità di progettarci nel futuro.
Allora quali sono i possibili risvolti psicologici causati dalla mancanza o perdita del lavoro?
“Chi perde il lavoro, spesso, si trova a fare i conti con sensi di vergogna e d’inadeguatezza che talvolta incidono sulla sua stabilità emotiva e psicologica. Di conseguenza, potrebbero manifestarsi stati ansiosi, tono dell’umore basso o stati depressivi e, in alcuni casi, potrebbero anche svilupparsi dipendenze (alcol, sostanze stupefacenti, gioco)”.
Questa la risposta dataci dalla psicologa, dottoressa Miriam Naglieri.
L’attuale situazione economica, politica e sociale, non permette di guardare con fiducia al futuro e ciò può apparire ancora più difficile a chi perde improvvisamente il proprio lavoro.
Tuttavia la reazione di fronte a questo stato delle cose, come ci spiega la dottoressa, può variare da soggetto a soggetto, in quanto legata a fattori quali le caratteristiche individuali e quindi le potenziali risorse personali, il contesto socio-culturale d’appartenenza, il supporto familiare e la rete sociale.
Gli effetti più drammatici, chiaramente, sono i più evidenti. La cronaca locale e nazionale, infatti, spesso ci segnala i suicidi di persone schiacciate dalla crisi. Nella maggior parte dei casi, si tratta di titolari d’aziende piuttosto che di operai.
“Probabilmente la maggiore incidenza dei suicidi degli imprenditori potrebbe essere rapportabile alle tante responsabilità riferibili non solo a sé ed alla propria famiglia, ma anche ai propri dipendenti. A questo si aggiunge, inoltre, il dover rimettere in discussione un’immagine di sé costruita nel tempo” ci spiega la psicologa.
Che, alla domanda sulla possibile relazione tra disperazione e delinquenza, risponde: “In momenti del genere, a volte, diventa difficile distinguere tra giusto e sbagliato e qualcuno, senza il giusto sostegno e non trovando aiuti, si rifugia nell’illegalità e nella criminalità”.
Non sono estranei alle preoccupazioni legate al mondo del lavoro neanche i giovanissimi, a cui vengono meno la fiducia e la motivazione nello studio.
“Se la flessibilità da un lato allena la mente ad eventuali cambiamenti lavorativi, dall’altra però può divenire una forma ricattatoria per cui diventerebbe una condizione sine qua non per poter lavorare”.
In che modo potrebbe aiutare quindi un consulto psicologico?
“Rivolgersi allo psicologo– spiega la dottoressa Naglieri – potrebbe aiutare la persona a ritrovare il proprio senso di autoefficacia, sostenendola a scoprire e a riscoprire nuovi aspetti di sé e risorse utili e necessarie per potersi rimettere in gioco in termini personali, professionali e relazionali”.
Anche ai meno abbienti non è preclusa questa opportunità. Un aiuto potrebbe arrivare loro dai consultori presenti sul territorio che meritano, soprattutto in un momento difficile come questo, di essere potenziati.
Il consiglio, comunque, rimane quello di sviluppare la “creatività” che può senz’altro aiutare a trovare soluzioni nuove.