Ogni giorno, arriva un colpo che spinge la giovinezza un po’ più su nella soffitta della vita.
Mentre rientravo da Corato dell’usata, inutile fatica quotidiana (già, oggi insegnare è divenuto inutile fatica), ti ho visto sorridere come nei giorni belli ed inevitabile è stato soccombere sotto la lieta slavina dei ricordi.
Avevi un nome che era già una festa: Natale. E, infatti, ogni volta che ti vedevamo era una gioia infinita che poi dirò.
Esotico il tuo cognome, che evocava antiche fiabe e a noi familiare perché tuo nipote, oggi valente ingegnere, era nostro compagno di classe: Persia.
Facevi un mestiere onirico per molti di noi: il custode del Palazzetto.
Già, non guardatela così com’è oggi, quella struttura quasi rudere. C’è stato un tempo in cui era uno scrigno di meraviglie e sport vari.
Noi giocavamo spesso sul prato esterno e ci sentivamo un po’ più grandi, tentando di emulare le gesta di coloro che si esibivano – il Bitonto che sfidò la Roma Calcetto Barilla per la semifinale scudetto, per esempio – su quelle mattonelle lucide. Prima rasavi amorevole l’erba e poi ci davi il cuoio fatidico, che avrebbe scatenato furibonde partite fino al tramonto.
Qualche anno dopo, anche noi riuscimmo ad entrare in quella cassa del tesoro e tu ci accoglievi sempre con battute e sorrisi. Eri persino divenuto mio tifoso personale (“Forza Mariolin“).
Ora, sarai lassù per dare provvidenziale il pallone ad angeli bambini.
E sono sicuro che, anche quando griderai fintosevero “be’, mou sciatavin“, lascerai ancora aperte le porte del cielo…