Tra le
riflessioni innescate dai recenti fatti di cronaca nella nostra città, mi hanno
molto colpito quelle di molti giovani bitontini. Non solo per la lucidità e il
coraggio dell’analisi, ma proprio per il fatto di essere state scritte da
esponenti di una nuova generazione che mostra di avere una chiara
consapevolezza: non solo della situazione in cui versa Bitonto, ma delle
inevitabili responsabilità che devono investire tutti i soggetti di una
comunità che voglia essere civile. Senza cedimenti a facili demagogie e senza
fare sconti a nessuno, a cominciare da noi stessi.
Sono gli
stessi giovani protagonisti della “movida” e in generale di un
risveglio socio-culturale, ancora lontano dall’essere completato, ma di cui si
percepiscono con crescente nettezza i segni. Non c’è dubbio che ci troviamo
davanti ad una nuova generazione di ragazzi che stanno riscoprendo la passione
per la “polis” a partire dalle sue bellezze, dai suoi beni artistici
e architettonici, dalle pietre e dalle memorie del centro antico, con un
approccio molto lontano e assai diverso da quello della nostra generazione,
caratterizzato dall’adesione ai grandi “racconti” ideologici del
‘900.
Sarebbe
assai interessante se la anche la “movida” bitontina potesse
recuperare lo spirito con cui questo fenomeno nacque e si sviluppò nella Madrid
degli anni ’80. Al suono di questa parola infatti rischia di materializzarsi
solo l’immagine notturna di una folla in festa; locali, tacchi alti e vestiti
da sera. E invece la movida non può ridursi solamente ad una
rappresentazione di momenti mondani, con bar, locali, pub e discoteche e non si
può banalmente assimilare solo alla fiesta come noi italiani siamo soliti fare
erroneamente.
La
movida infatti fu soprattutto un fenomeno politico, una tappa storica e
culturale fondamentale nella Spagna contemporanea, segnandone il passaggio alla
democrazia, la morte della dittatura franchista durata 39 anni e l’apertura
verso l’Europa.
In
questo risveglio, in questo “movimento” diverse generazioni di
bitontini possono e devono ritrovarsi: nella consapevolezza che o questo
fenomeno, non sarà solo una ventata di novità ma la semina paziente di un tempo
nuovo riuscendo quindi a a contaminare tutta la città ad iniziare dalle
“brutte, sporche e cattive” periferie o avrà perso molto della sua
spinta propulsiva, destinata magari a spegnersi nel giro di qualche tempo.
E’ il
problema della città e della sua classe dirigente che non si esaurisce in
quella politica, ma che deve coinvolgere cittadini attivi e consapevoli, tutte
le agenzie formative, dalla chiesa alla stampa, dalla scuola alle associazioni.
E’ quel ruolo educativo che Giacomo Leopardi nel suo Discorso affidava
alla “società stretta” che potrebbe svolgere un prezioso ruolo
formativo, dando l’esempio all’intera popolazione.
Il suo compito consiste nel
promuovere un codice di valori e di comportamenti. Con «società stretta»,
Leopardi intendeva la classe agiata del tempo, specialmente la borghesia colta,
cui riconosceva, in potenza, l’esercizio di un grande ruolo educativo: quello
di fungere da esempio, da modello etico e culturale, così da conferire un certo
tono all’intera società.
Anziché
svolgere simile funzione, questa élite spesso, diceva Leopardi (ma può valere
anche per la Bitonto del nostro tempo), è dedita solo a un vivere frivolo e
dissipato, a ridere, a disprezzare tutto e tutti, cosicché il problema
pedagogico è spostato a monte, coincidendo con la pochezza dell’educatore. Più
precisamente, è da rintracciarsi in una cronica mancanza di responsabilità,
senso civico e, più in generale, di cultura moderna.
C’è
dunque un grande cantiere aperto nella nostra città. Non possiamo sottrarci
alle nostre responsabilità. I giovani sono alla testa di questo sforzo di
rinnovamento. Ai meno giovani tocca fare non un passo indietro ma un passo al
lato. Per cercare di camminare insieme.