Il Santuario dei Santi Medici ieri era stracolmo.
Stracolmo di giovani, amici, parenti che avevano soltanto una domanda dentro il
cuore per il piccolo Donald: “perché?”.
Ha provato a dare delle risposte, a porre interrogativi
duri, delle riflessioni pensose, don Vito
Piccinonna, parroco rettore, durante la sua omelia.
Delle parole che hanno cercato di dare un messaggio di
vita e speranza che andasse oltre la morte, oltre le domande a cui non ci potrà
essere risposta, oltre il quotidiano pensare.
«Caro
Donald, mai ti ho conosciuto personalmente ma mi è bastato ascoltare alcuni dei
tuoi più cari amici, vedere le lacrime rigare il volto di tanti tuoi amici per
capire che eri un ragazzo in gamba.
Tutti
mi hanno detto che eri sorridente, uno dei tanti giovani in gamba di questa
nostra città, con tutte le domande e le contraddizioni di tutti.
Poche
ore prima del folle gesto qualcuno ha raccolto una tua espressione: “Fra poco
vi farò felici tutti, con ciò che farò …”.
Permettimi,
caro amico, figlio e fratello, se pensavi a questo, non ci hai fatti felici,
per niente. La tristezza invade il cuore dei tuoi genitori, dei tuoi amici, dei
tutti.
Sì,
perché la tua vita era preziosa. Come ogni vita.
Sai
noi grandi dinanzi a questi gesti ci chiediamo subito: “Che problema aveva?”.
Forse,
caro Donald, oggi dinanzi alla tua bara dobbiamo chiederci con schiettezza: “Che problemi abbiamo noi”.
Hai
messo fine alla tua vita nel modo peggiore. Forse oggi dici a tutti quanti che
pure noi dobbiamo porre fine alla vita. Ad una vita, la nostra, preoccupata di
tutto, di tanto, tranne che della vita stessa.
Siamo
distratti. È la superficialità il peccato numero uno della vita di tutti.
Questa
avventura bellissima, la vita, ci è stata consegnata per dono e ha bisogno di
ali coraggiose, ma anche di voli forti insieme.
Non
ci hai reso felici, caro Donald.
Dovevamo
ancora conoscerci. Avrei desiderato conoscere dal vivo il tuo sorriso e il tuo
sguardo.
Potevamo
sognare insieme. Ascoltare oltre le nostre cuffie.
I
nostri smartphone hanno moltiplicato le possibilità di comunicare, ma molto spesso ci impediscono di relazionarci per davvero, oltre le maschere e
persino oltre un sorriso.
Caro
Donald, oggi ci metti dinanzi alla nostra fragilità (non solo la tua!).
Dall’abbraccio
di Dio, dove vivi per sempre, ricordaci
quanto è bella la vita, nonostante tutto.
Perdonami,
non ti dirò mai che Dio aveva bisogno di un angelo in cielo.
Dio
e noi avevamo bisogno di te qui, ora.
E
anche tu avevi bisogno di noi».
Il momento si è fatto ancor più carico d’emozione
quando il parroco ha invitato tutti i presenti a prendersi per mano, a
stringere la mano dell’altro accanto.
«Lo facciamo per te Donald, perché mai più
ci siano gesti del genere. Giuriamo di
non passare mai davanti a qualcuno fregandocene: in una società in cui ciascuno sa pensare più o meno ai fatti propri,sa mostrare i suoi denti per difendere i
propri diritti (veri o presunti), ma poi è incapace di farsi carico della
fragilità e della solitudine di chi ci vive accanto, specie delle nuove
generazioni. Non possono essere i
pub, i centri scommesse o addirittura la malavita i luoghi più accoglienti e
creativi per i più piccoli e i più giovani».
La sconfitta più grande avverrà se «la comunità civile non prenderà in seria considerazione il presente e
il futuro delle nuove generazioni. Così si andrà verso il nulla. Sì, Donald,
sotto quel treno, mercoledì sera, siamo morti un po’ tutti quanti. E questo ci
spaventa, non poco».
E poi ha concluso: «Per
te, caro Donald, noi preghiamo il buon Dio e continueremo a farlo sempre. Questa
sera diciamo al tuo, e al nostro Dio, di accoglierti nella grazia che non ha
fine. Noi diciamo al nostro Dio di stringerti come vorremmo fare noi, di
consolare i tuoi genitori e la tua famiglia, i tuoi amici, la tua scuola,
questa comunità, questa città.Ti affido
a colui che, solo, ha potere di trasformare questa terribile ombra di morte in
splendida aurora di luce divina.
Ciao
Donald, ti voglio e ti vogliamo bene».